Cronache

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Che la situazione sia particolarmente complicata lo dimostra anche il fatto che le autorità della Comunità degli Stati dell’Africa Orientale (Eac), da tempo, hanno deciso di schierare nel Nord Kivu una forza militare con l’obiettivo di ripristinare la pace. Già nella regione sono presenti truppe del Kenya, del Burundi, dell’Angola e dell’Uganda per combattere i gruppi armati che però non sono passate all’offensiva, anche perché non sono ancora state chiarite dalla Eac le regole di ingaggio. Molti analisti ritengono che queste forze abbiamo solo una funzione di presidio del territorio. Altri ancora, invece, sostengono che i paesi che hanno deciso di mandare i propri soldati non abbiamo intenzione di combattere contro i ribelli dell’M23 per non irritare il Ruanda.

In questa situazione di stallo i ribelli fanno un po’ quello che vogliono e disattendo i vari accordi di cessate il fuoco e non sembrano disposti a negoziare, se non con il governo di Kinshasa, ma non con l’Eac. Proprio per queste ragioni il presidente angolano Joao Lourenco, mediatore dell’Unione africana per la risoluzione della crisi nell’Est dell’Rdc, ha deciso di inviare un contingente di circa 500 soldati, nell’ambito della forza regionale per il ripristino della pace. Ma il ministro degli Affari Esteri congolese, Christophe Lutundula, si è premurato a spiegare che le truppe non sono in Congo per “attaccare, ma per controllare come stanno andando le cose”.      

In tutto questo caos a pagarne il prezzo più pesante e sanguinoso sono i civili costretti, in continuazione, a fuggire dai combattimenti e a trovare rifugio in situazioni di precarietà con nessuna assistenza umanitaria. Dai territori teatro degli scontri tra ribelli dell’M23 e esercito congolese, Rutshuru e Masisi, nel solo mese di febbraio sono fuggite più di 300mila persone, facendo pressione sulla città di Goma, esacerbando ancora di più la popolazione che vede un moltiplicarsi di truppe, anche straniere, sul loro territorio senza che questo porti alla pace.