Totò Riina, troppa visibilità mediatica al padrino morto: è una vergogna
Salvatore Riina da vivo risultava scomodo a tanti, da morto lo stiamo dipingendo come un quadro d’autore da custodire, oserei dire un mito, un esempio soprattutto per le future generazioni mafiose. Non dobbiamo dimenticarci però che su ordine di Riina, Giovanni Brusca uccide Giuseppe Di Matteo un bambino di soli tredici anni. Ci racconta Gaspare Spatuzza che i sicari occhi del bambino apparvero degli angeli, ma in realtà erano dei lupi. Lui era felice, diceva: “Papà mio, amore mio”, mentre la sorte che lo attendeva era quella di essere sciolto nell’acido.
Un “elemento” del genere merita le prime pagine dei giornali di tutto il mondo? Personalmente ritengo che questa enorme visibilità contribuisca a mitizzare la sua figura, anche in ragione delle leggende sulla sua inaudita violenza (lo chiamavano “la bestia”) che lo accompagnano e che affascinano purtroppo le nuove leve criminali. Perché fare di questo criminale efferato un mito da evocare anche per il futuro? Perché accrescere progressivamente il suo prestigio anche da morto contribuendo ad alimentarne il culto e la fama di “grande boss mafioso”? Io spero e mi auguro fortemente che la sua morte diventi una priorità assoluta nella strategia di contrasto a tutte le mafie operanti in Italia. Mi auguro che con la sua morte parta una enorme reazione repressiva da parte dello Stato nel nome di tutte le vittime di questo spietato criminale.
Vorrei aggiungere un ulteriore dato raccapricciante: alcune recenti inchieste giudiziarie hanno portato alla luce episodi di giovanissimi ragazzi i quali, ispirandosi proprio a questi personaggi, hanno commesso reati quali estorsioni, intimidazioni, e violenze attribuendosi i nomi di questi mafiosi (c’era chi si faceva chiamare Riina “la bestia”). Se non è influenza e mitizzazione negativa questa, allora credo che occorra ripensare a tutto il modo di rappresentare una realtà violenta e sanguinaria, cercando di dare più enfasi e spazio a chi, rischiando e perdendo la vita, ha lottato per dei valori, quali legalità e giustizia, forse troppo importanti per essere ricordati dalle nuove generazioni. Mitizzare un criminale, sembra più facile e redditizio che ricordare e “venerare” nomi come quelli di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Forse mi sbaglio, ma credo che con tutti questi titoli strabilianti stiamo idealizzando un criminale che non merita la ribalta ma l’oblio e l’indifferenza più assoluta. Le figure mafiose sono spesso caratterizzate da un certo fascino criminale che assume talvolta anche contorni eroici ma, alla fine, per me Riina è stato e resta un perdente. E tutto questo clamore onestamente mi sembra del tutto ingiustificato e pericoloso!
Vincenzo Musacchio
(direttore scientifico della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise)