Cronache
Violenza giovanile: "Non sono vere baby gang, ma ragazzi senza regole"
Don Claudio Burgio, prete in prima linea a Milano: "Giovani a cui è stato concesso troppo o troppo poco. Ma possiamo recuperarli, o meglio, educarli"
Violenza giovanile, è allarme in Italia: non "baby gang" vere e proprie ma gruppi spontanei di ragazzi uniti dai social
Infuriano gli episodi di violenza giovanile, di genere ma non solo. Gli stupri in piazza Duomo a Milano la notte di San Silvestro, l'agente della locale aggredito nei pressi dei Navigli, la maxi rissa a Nichelino in Piemonte, le minacce quotidiane al Savena di Bologna. Ma spesso non è di vere e proprie "baby gang" che parliamo, bensì di gruppi senza alcuna gerarchia né organizzazione interna, dai quali entra ed esce chi vuole quando vuole. Affaritaliani.it ne ha parlato con Don Claudio Burgio, fondatore e presidente dell’associazione Kayros (comunità di accoglienza e servizi educativi per adolescenti) e cappellano dell’Istituto penale minorile Beccaria di Milano, un prete in prima linea per questi ragazzi.
Don Burgio, ultimamente c'è un'esplosione di violenza a opera, spesso, di 14-15enni. Che cosa ne pensa? Sono vere e proprie baby gang?
Non si può parlare di "baby gang" in senso tecnico. Oggi abbiamo a che fare con ragazzini che non sono organizzati o strutturati gerarchicamente in una comunità. Si tratta piuttosto di gruppi spontanei che prendono vita grazie ai social. Reati, rapine, nascono sul momento. Il fattore accomunante risiede proprio nell'utilizzo dei social e nella ricerca di visibilità e follower.
Fanno riflettere le parole dello psicologo della Casa del Giovane, Simone Feder: “Gli adolescenti di oggi sono freddi dentro". Poi dice: “Ragazzi cresciuti fra patatine e iPhone, a cui nessuno ha mai impedito nulla, che non hanno introiettato regole, a partire dal rispetto dell’altro“. E' d'accordo?
Sì, in parte sono d'accordo con questa definizione. Nel senso che è vero, si tratta di ragazzi freddi. Ma la freddezza è solo un'apparenza. Se si prova a scavare più a fondo, si scopre che non è così, che in realtà più che di freddezza si tratta di analfabetismo sentimentale. Sono ragazzi che non sanno come gestire le proprie debolezze e fragilità, non le accettano e pensano siano da nascondere. Questo anche a causa dell'ambiente in cui si trovano a crescere, che spesso non li mette nelle condizioni di farlo emotivamente e avere quindi gli strumenti necessari a superare queste fragilità per andare oltre. Di conseguenza non sono ragazzi empatici, e alcuni sono molto viziati. Tendono a ostentare una finta sicurezza camuffandosi da bulli.
Alla radice di questi episodi violenti, secondo lei, quindi che cosa c'è?
Diciamo che ci sono due categorie di ragazzi. Quelli a cui è stato concesso troppo e quelli a cui è stato dato troppo poco. In entrambi i casi il problema è la mancanza di un equilibrio. Nello specifico, quando parliamo di giovani molto viziati, sono casi in cui si è cresciuti nell'ottica del supporto materiale per affermare la propria personalità. Così il possedere l'iPhone o una maglietta costosa diventano mezzi per acquisire il rispetto dei pari. Sicuramente, ci tengo a sottolinearlo, la violenza non è un problema legato all'etnia. L'analfabetismo emotivo è trasversale, riguarda gli italiani e gli stranieri. Se non si capisce questo si concede agli adulti una comoda via di fuga dal problema reale.
Anni fa ha pubblicato il libro “Non esistono ragazzi cattivi”. Pensando anche al percorso di Daniel Zaccaro, da bullo a educatore, dopo 7 anni nella sua struttura, si sente di dire che non esiste un solo caso "senza speranza"?
Sì, assolutamente. Ma ognuno ha i suoi tempi, e il processo è molto spontaneo. Ed è importante che lo sia, perché sia veramente efficace. C'è un aspetto della storia di Daniel Zaccaro, inoltre, particolarmente significativo e esemplare, ovvero la rete che si è creata, dalla famiglia all'associazione e alle istituzioni, che ha accompagnato, passo dopo passo, Daniel nella sua crescita personale. Questo è molto importante, e spesso è un fattore che manca o che viene sottovalutato. Per dirne una, le famiglie nella maggior parte dei casi sono assenti o, se ci sono, agiscono con una mentalità individualista. Per cui, anche al sorgere dei primi segni evidenti di difficoltà nel proprio figlio, pensano di potersene occupare autonomamente e di poter affrontare i momenti anche più delicati completamente sole.
Con la sua associazione Kayros come vi muovete?
Noi accogliamo ragazzi con una fase penale alle spalle. Diamo loro tutto il tempo necessario, cancellando del tutto l'ansia da prestazione, e li mettiamo in contatto con diverse realtà, dallo sport al cinema, alla musica. L'intento è che man mano riescano a riconoscere i propri interessi, a capire a cosa vogliano dedicarsi, e forniamo loro gli strumenti e le figure di riferimento necessarie per farlo. Quando ad esempio si estingue la misura cautelare, gli pemettiamo di rimanere gratis da noi, finché ne hanno bisogno. Li assistiamo anche nella ricerca lavorativa e abitativa.
Dopo gli episodi delle ultime settimane il sindaco di Milano Beppe Sala, in consiglio comunale, ha annunciato delle misure di contenimento e prevenzione, in particolare più telecamere di sicurezza e un potenziamento dell'organico dei vigili. Che cosa ne pensa?
Ma sicuramente agire sulle misure è importante, ed è quello a cui un sindaco deve pensare. Aumentare le telecamere di sicurezza e l'organico dei vigili ha un significato però, se a questi interventi se ne affiancano altri. La priorità deve essere l'educazione. Pensare alle telecamere e basta non avrebbe senso. Anzi, il picco di violenza a cui stiamo assistendo è la prova, e di questo dobbiamo prendere atto, che, dalle istituzioni alle famiglie, qualcosa nell'educazione dei giovani non ha funzionato. E prima ce ne rendiamo conto, prima si potrà individuare dove intervenire e curare. Quando si agirà sull'educazione, probabilmente, non ci sarà più nemmeno bisogno delle telecamere.
Per concludere, la pandemia ha un peso in questi comportamenti?
Sì, ma non ne è la causa. Quello che penso è che ha semplicemente accelerato qualcosa che era già all'orizzonte. E proprio l'incapacità con la quale ci stiamo trovando a fare i conti nel gestire questi episodi è la prova che non eravamo pronti, che è un fenomeno arrivato troppo in fretta cogliendoci, appunto, di sorpresa. Una cosa è certa, e in questo sono d'accordo con il premier Draghi, la Dad non è una soluzione. La scuola per i ragazzi è di fondamentale importanza e non può prescindere dal rapporto con i propri educatori, a contatto con loro, in presenza, e non davanti a uno schermo.
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