Culture

Franca Rame, un libro (postumo) di denuncia e di passione

 

FrancaRame

Un libro di denuncia e di passione. Civile e politica. Franca Rame ripercorre l’esperienza amara fatta in parlamento tra il 2006 e il 2008, 19 mesi trascorsi in Senato e raccontati attraverso storie, aneddoti, personaggi (Andreotti, Finocchiaro, Dell’Utri, Calderoli, Colombo, di Pietro...) con la sensibilità teatrale e comica di chi, come Franca, è sempre stata sulla scena. Fino all’ultimo. Senza mai abbandonare lo spirito originario dell’impegno civile e politico che l’ha portata, dopo tante battaglie, a dare le dimissioni da senatrice. Una testimonianza unica perché ci fa vedere nei suoi aspetti più grotteschi la distanza che separa chi crede nella politica come servizio e chi invece la politica la fa solo per mestiere.

L'AUTRICE - Franca Rame (1929-2013) è stata una protagonista assoluta del teatro italiano. È coautrice e curatrice delle commedie di Dario Fo. L’impegno politico e civile ha sempre definito il suo modo di fare teatro. Eletta senatrice per l’Italia dei valori nel 2006, si è dimessa nel 2008. Con Fo ha pubblicato l’autobiografia Una vita all'improvvisa (Guanda 2009).

 

LEGGI SU AFFARITALIANI.IT UN ESTRATTO
(pubblicato per gentile concessione di Chiarelettere)

 

Prologo

Il più misero fra gli uomini è quello che manca di conoscenza

 

Nei primi diciotto anni della mia vita non ho mai letto un giornale, eppure ne circolavano in casa: li leggevano mio zio, mio fratello, mio padre... Erano cose da maschi. Quando sono arrivata a Milano ho scoperto che cosa significa vivere da persona informata, cosciente di ogni situazione, e che esistono lotte per la dignità e la giustizia, che la politica non è roba da congrega e nemmeno un fatto di opinioni diverse, bensì la chiave fondamentale dell’emancipazione civile.

Ho imparato a confrontare sui giornali articoli diversi sullo stesso tema, a discernere fra la smaccata propaganda e un’onesta dialettica, a intendere i linguaggi e a distinguere il valore delle idee. Credo sia stato un incidente a farmi cambiare registro quasi all’istante.

Allora a Milano mi muovevo preferibilmente in bicicletta, pedalando come un’autentica spericolata: superavo macchine in manovra e perfino qualche motoretta. In uno di quei sorpassi urtai una Topolino, in realtà la sfiorai appena, ma frenando all’improvviso mi trovai a terra. Il portapacchi della piccola auto era colmo di volumi che nella frenata rotolarono tutti sull’asfalto. Il conducente, un venditore

ambulante di libri usati che aveva una bancarella proprio lì a Brera, mi aggredì sbracciandosi: «Ma dove hai la testa? Guidare in quel modo... Siete una manica di incoscienti senza rispetto per chi lavora!». Forse temeva mi fossi fatta molto male. «Ma che ho fatto, dopotutto? Le ho appena sfiorato il

parafango...» «Sì, ma mi hai fatto prendere un coccolone, pensavo ti fossi ingrippata tutta. Ecco come si rovina l’Italia, facendo e disfando senza discernimento. Si delega la vita a chi capita, siete degli incivili, una gioventù senza opinioni né conoscenza!»

E così dicendo raccoglieva da terra mucchi di libri e me li tirava addosso: «Qual è la vostra cultura? Cosa leggete voi? Di cosa vi interessate? Hai mai letto questo?».

E mi tirò un librone che per poco non mi beccava in piena fronte. Poi saltò in macchina e se ne andò, sempre imprecando e spernacchiando col motore. Io ero attonita.

Ma cosa gli era preso? E mi misi a raccogliere il tomo che avevo scansato per miracolo e altri libri rimasti a terra. Per me quello scontro con caduta fu come la folgorazione di Saulo sulla via di Damasco; a parte l’incidente e la reazione esagerata, quel lancialibri aveva ragione: io ero un’incolta, anzi, un’ignorante. Era tempo che mi dessi da fare, che tornassi a leggere e a studiare.

 

La porta girevole del destino

Ma la lezione più importante l’ho ricevuta senz’altro nei caffè di Brera – Giamaica, sorelle Pirovini – dove ho incontrato giornalisti e scrittori famosi, e anche ragazze, giornaliste preparate, e pittori e registi che non parlavano solo di quadri e di messe in scena, ma anche di fatti legati al quotidiano e alla politica.

Eravamo nell’immediato dopoguerra e per la prima volta si pubblicavano in Italia saggi e soprattutto romanzi stranieri che il regime fascista aveva bloccato per anni, con una censura ottusa e spietata. Ricordo di aver letto in bozze addirittura Nuova York di Dos Passos (poi riproposto con il titolo originale, Manhattan Transfer) e Addio alle armi di Hemingway. Fra i miei nuovi amici c’era un giovane, Giuseppe Trevisani, che traduceva per Einaudi testi di grandi scrittori inglesi e americani che uscivano per la prima volta nelle nostre librerie. La cosa incredibile è che questi amici

traduttori, scultori, pittori e registi erano a loro volta legati come fratelli a Dario. Fra loro, oltre appunto a Trevisani, c’erano anche Alik Cavaliere, Bobo Piccoli, Enrico Baj, Luciano Bianciardi: lavoravano insieme, si incontravano ogni giorno per discutere, fare progetti, ma io e Dario non ci incrociavamo mai. Era una situazione a dir poco paradossale, degna di una pochade e di un vaudeville, con i personaggi che entrano ed escono in continuazione da porte diverse senza riuscire mai a incrociarsi. Era destino che io e Dario ci si incontrasse in teatro solo due anni dopo.