Culture
Len Cooper, una storia di riscatto e di rinascita contro ogni emarginazione
Anche Napoli celebra il "Black History Month" dedicato alla promozione della cultura "nera" nei paesi anglosassoni. La testimonianza del giornalista americano
A Napoli ha trovato la sua casa, dopo una vita trascorsa a lottare per combattere le ingiustizie subite sulla propria pelle perché giudicato “diverso”. Scrittore e giornalista con un ruolo di primo piano presso il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, Len Cooper racconterà il prossimo 28 febbraio la sua storia di riscatto e di coraggio ai giovani detenuti del carcere di Nisida nel corso dell’evento promosso dalla Federazione italiana Donne Dottori commercialisti ed esperti contabili, patrocinato dall’Ordine dei Giornalisti della Campania. La testimonianza dello scrittore americano si iscrive nell’ambito del “Black History Month”, ricorrenza osservata nel mondo anglosassone per promuovere lo studio e la conoscenza della cultura africana all’interno della scuola pubblica e per sensibilizzare l’opinione pubblica all'integrazione e alla comprensione del “diverso” come antidoto all'emersione di nuove derive razziste. Len racconta la sua storia nel libro autobiografico “The Children of my knee” (Createspace Independent Pub ed.), dove narra i soprusi subiti da un ragazzo nero americano nato a Birmingham (Alabama) nel periodo più brutale della segregazione. La sua è una storia di riscatto e di coraggio. Una storia commovente che ha molto da insegnare a chi sogna e desidera una vita migliore, a chi nel buio della sua esistenza non perde la speranza, a chi è disposto a lottare per la vita e i suoi valori e per chi si preoccupa di accogliere il “diverso”.
Oggi Len vive a Napoli, che definisce “la mia casa”, facendo riferimento alla generosità, alla tolleranza e all’apertura nei confronti del diverso. “Sono qui a Napoli da dodici anni, la gente qui è stata sempre estremamente gentile con me, con uno sconosciuto. Sono ospite in questa città, in questo Paese, e cerco di comportarmi al meglio ogni ora di ogni giorno. Adoro questa città e quando verrà il giorno di lasciarla, sono sicuro, così come quando sono venuto in questa città, piangerò”. Ed ancora: “Ho voluto fortemente raccontare la mia storia in un luogo che accoglie chi è privato della libertà personale e che è chiamato a riflettere sulla propria condizione, per testimoniare che anche quando sembra impossibile, proprio quando sembra impossibile la vita può poi offrirci occasioni di riscatto e di rinascita. Ma bisogna volerlo fortemente. La scrittura mi ha aiutato molto in questo percorso di rinascita ma ciascuno di noi ha le chiavi per aprire nuove porte lungo il proprio percorso”.
Nel suo libro autobiografico parla della polveriera razziale del profondo Sud durante la sua infanzia, mostra come il retaggio della schiavitù persisteva anche dopo la sua abolizione. Pagina dopo pagina il lettore si immerge in una storia di vita segnata da mille sofferenze e torture. Da giovane, Len cerca conforto nella fede entrando in seminario illudendosi di trovare un luogo migliore, ma conosce il lato oscuro della Chiesa: omosessualità, alcolismo e corruzione in tonaca. Anche quando decide di frequentare la scuola superiore dei bianchi, per la prima volta aperta ai neri, nella speranza di migliorare la sua condizione socio culturale, si imbatte in un luogo di vessazioni, marginalizzazione e mortificazioni profonde. Perché aveva la colpa di essere nato nero e la collettività manifestava in ogni gesto e occasione di volerlo “punire” per questo.
Ma Len non si arrende, decide di viaggiare e proprio un viaggio, quello a Gerusalemme, gli cambia la vita. Poi il lavoro al Washington Post e il successo da giornalista freelance. La vita di Len come le pagine “The Children of my knee”, racconteranno della vittoria sulle circostanze più avverse e che possono sembrare insormontabili.