Mimmo Paladino fa di Brescia un museo a cielo aperto
Ouverture è il titolo della bella e pregnante rassegna con cui l’artista campano apre una serie di esposizioni nei luoghi-simbolo della seconda città lombarda
di Raffaello Carabini
“È una mostra a cielo aperto che dà il senso di un cammino dentro Brescia, una città che è una piccola antologia di oltre 2000 anni di storia.” Così Mimmo Paladino, l’artista di riferimento della transavanguardia, la corrente “inventata” dal critico Achille Bonito Oliva per definire chi – a partire dalla fine dei 70 del secolo scorso – voleva una sintesi tra figurazione e astrazione per non smaterializzare l’arte tra minilismi e concettualità, parla della sua Ouverture.
Si tratta di una settantina di opere distribuite tra il Museo di Santa Giulia, il Parco Archeologico, il Duomo Vecchio, Piazza della Vittoria e la metropolitana, che disegnano un ricco e convincente intervento site-specific in un luogo carico di storia, dove la classicità e la modernità sono viventi, perché conservate con attenzione. “Benché fossi impegnato in un’attività cinematografica”, continua il 69enne maestro di Benevento, “ho trovato con la città un’intesa che definirei jazzistica: a piccole variazioni, piccoli spostamenti di qualche metro delle opere, seguivano altrettanti stimoli, pur all’interno di una strategia filologica, quasi museale. Mi sono stupito delle nuove prospettive che nascono anche da opere non nuove, ma che ho rivisto appositamente per queste collocazioni inedite. Quello che conta è di offrire bellezza nuova a questa città, che è più che italiana per come è attenta all’arte contemporanea.”
Numerose statue, tra cui la nuova figura, “Stele”, alta sei metri in marmo nero tra gli edifici razionalisti oppure la riproposizione in ambito romano dei “20 Testimoni” in tufo del 2009 e del colosso con testa d’argento “Ritiro” del 1992, gli elmi, le statue inedite, la “Croce” del 2008 e il “Bronzo” del 2002 davanti all’affresco del Romanino in Santa Giulia, i nuovi, magnifici e ciclopici specchi ustori in ottone dipinti e il gigantesco “Zenith” equestre del 1999. La serie di tele dei “Corali” del 1997, il grande “Velario” del 2010 e l’annunciata terracotta di 80 metri quadri alla fermata Stazione della metropolitana sono altre tappe di una carrellata coinvolgente, che indulge a richiami e contrasti, che contamina il passato con il contemporaneo dimostrando derivazioni e discendenze, che sollecita nuove idee e nuove interpretazioni dello spazio attorno, sempre in dialogo con le ricchezze di una città bellissima di per sè.
Paladino, come scrive Luigi Di Corato, direttore di Brescia Musei e curatore della mostra, “attraverso densi riferimenti al mito e sviluppando immagini archetipe postula un’arte dal sapore arcaico, mediterraneo, onirico, che ha come perno il tema della memoria e del frammento. Le sue statue sono icone, maschere antiche, geometrizzanti, quasi un alfabeto di segni che tornano in maniera ciclica.”
A quarant’anni dalla sua prima personale, aperta proprio a Brescia, l’artista di Benevento riesce a trovare una sorta di “senso definitivo” alla sua attività in questo confronto con il classico, una fusione che è insieme concettuale e molto emozionale. E insieme riesce a farci comprendere, come dice Angela Vettese, direttrice di Artefiera, la manifestazione bolognese dedicata alle gallerie d’arte, “che l’arte classica è molto più complessa di quanto possiamo immaginare, perché nessuno può dire di aver mai decifrato nemmeno un Botticelli. L’arte contemporanea ci aiuta a capire che il passato va capito... E che non ci scandalizza più, come avviene al contrario per il contemporaneo, solo perché lo abbiamo già negli occhi.”
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