Economia
"Tesla in Arabia? Una mossa politica di Musk. E sulla crisi di Stellantis non c'è nessun effetto dazi, ma il Ceo..."
Tesla sbarca a Riyad e Stellantis chiude il trimestre con un -9% nelle consegne globali. Mentre Musk cerca nuovi sbocchi, Elkann incassa l’ennesimo colpo: parla l'esperto di automotive, Andrea Taschini

Elon Musk e John Elkann (foto generata con l'intelligenza artificiale)
Da Tesla in Arabia alla flessione delle consegne di Stellantis: l’intervista all’esperto del settore auto
Il mercato auto non si ferma mai. Corre, sterza, deraglia. E se ti distrai un attimo, sei fuori pista. Elon Musk lo sa bene e per tamponare il calo di vendite di Tesla, ha appena aperto i primi showroom in Arabia Saudita. Peccato che lì le auto elettriche siano più rare dei giorni di pioggia nel deserto.
Intanto Stellantis incassa un altro colpo: il primo trimestre del 2025 si è chiuso con un calo del 9% nelle consegne globali, e un -8% in Europa. Ma il vero crollo arriva dal Nord America, dove la flessione tocca il -20%. A pesare, secondo gli analisti, è la riduzione della produzione, ma anche le tensioni commerciali scatenate dai nuovi dazi di Trump.
Insomma mentre Musk insegue i mercati esotici, il gruppo di John Elkann fa i conti con una frenata pesante. Affaritalianit.it ne ha parlato con Andrea Taschini, esperto del settore automotive con esperienze in aziende come Bosch e Brembo.
Musk apre i primi showroom Tesla in Arabia Saudita. Questa mossa aiuterà il gruppo a risollevare le vendite?
L’Arabia Saudita ha una popolazione relativamente ridotta e, per giunta, molte donne non hanno la patente. Quindi il potenziale di mercato è decisamente limitato. A mio avviso, la mossa di Musk ha più una valenza politica che commerciale: l’Arabia Saudita è un alleato degli Stati Uniti in chiave anti-Iran e il mercato locale ha un peso marginale in termini numerici.
E c’è anche una certa ironia nel vedere Musk vendere auto elettriche proprio nel Paese che è il maggiore produttore mondiale di petrolio: una contraddizione evidente.
Allargando lo spettro, come spiega il recente crollo delle vendite europee e delle azioni Tesla?
Tesla produce il 50% delle sue auto in Cina e inizialmente puntava a venderle sul mercato cinese, quando i produttori locali non erano ancora forti sulle elettriche. Oggi, chiunque produca auto in Cina e provi a venderle lì – occidentali in testa – è in difficoltà. Non solo Tesla, ma anche Volkswagen, Bmw e Mercedes. La Cina è un Paese fortemente sovranista, molto più di Europa e Stati Uniti, e tenderà sempre più ad acquistare solo prodotti nazionali. E questo non vale solo per l’auto: si sono messi persino a produrre vino.
Essendo Tesla un’azienda americana e Musk politicamente molto esposto, soprattutto vicino all’amministrazione Trump, credo che in Cina le possibilità di successo siano molto limitate. Al di fuori della Cina, Musk produce in Europa, a Berlino, ma io ritengo che non sia possibile produrre auto elettriche in modo economicamente sostenibile nel Vecchio Continente: i costi sono troppo alti, non abbiamo una filiera autonoma per le batterie, e le materie prime arrivano tutte dalla Cina. A questo si aggiungono costi energetici elevatissimi. Quindi anche in Europa Tesla dovrà affrontare grossi problemi di sostenibilità economica. Nel frattempo, stanno arrivando le auto elettriche cinesi – vedi BYD – a prezzi molto più competitivi.
È forse colpa del posizionamento politico del suo Ceo?
Teoricamente – e credo di non sbagliarmi – chi acquista auto elettriche è spesso una persona con sensibilità ambientalista, o comunque attenta a certi valori. La maggior parte di queste persone tende a essere più di sinistra che di destra. Visto che Musk ha preso posizioni politiche molto nette, spesso in linea con Trump, penso che abbia finito per scontentare proprio la base del suo pubblico. Questo spiegherebbe anche il crollo delle vendite di Tesla in Europa, accompagnato da un aumento di auto elettriche a marchio Bmw e Volkswagen. Con una precisazione però: anche queste non vengono prodotte in Europa, ma in Cina.
E negli Stati Uniti, come sta andando Tesla in termini di vendite?
Mi pare che Tesla lì abbia ormai esaurito la sua corsa, o quantomeno quella fase super performante ed economicamente brillante a cui ci aveva abituati. Va anche detto che Musk detiene solo il 12% delle quote di Tesla: è quindi un azionista di minoranza. Credo che oggi sia molto più concentrato su altri suoi business, come Starlink, a cui il governo americano ha dato mano libera.
E visto che Musk non è uno sprovveduto, questo potrebbe spiegare anche il motivo per cui si è esposto così tanto politicamente, accettando il contraccolpo sul fronte dell’auto elettrica. Probabilmente non gli interessa più come prima. Si dice tanto che gli Elkann non si interessano più del settore auto, pur avendo il 14% di Stellantis, e Musk, che ha solo il 12% di Tesla, viene ancora trattato come se fosse il padrone assoluto.
Parlando di Stellantis: il gruppo, rispetto a quanto ci si aspettava, non si è ancora ripreso nel 2024. Nel primo trimestre ha registrato un calo nelle consegne globali e addirittura del 20% in Nord America. Cosa ha determinato questo crollo? C’entrano i dazi di Trump?
Sfatiamo un mito: i dazi non sono un problema né per Stellantis né per il comparto automotive europeo. L’Europa esporta pochissime vetture negli Stati Uniti, e quelle che manda sono di fascia altissima – Porsche, Ferrari, Lamborghini. Se stai comprando una Ferrari da 350mila euro, un dazio del 20% non ti cambia certo la vita. In più, Stellantis ha impianti produttivi importanti negli Stati Uniti – basti pensare a Chrysler – quindi può tranquillamente produrre in loco. I dazi, in questo senso, pesano poco o nulla.
Gli europei "urlano" tanto, ma in realtà i dazi per loro sono un’opportunità: quelli sull’Europa, tra l’altro, sono stati sospesi e probabilmente verranno ridotti nei prossimi 90 giorni di trattative. Quello che fa davvero la differenza è il dazio sulla Cina, che arriva al 124%. Lì sì che si apre un nuovo scenario. Non solo per l’auto, ma per tutti i settori: se i prodotti cinesi raddoppiano di costo, quelli europei tornano competitivi e possono conquistare fette di mercato che prima erano in mano ai cinesi.
E Stellantis, oggi, a che punto si trova?
Sappiamo che il mercato europeo va male in generale, quindi il calo delle vendite non riguarda solo Stellantis. Detto questo, sappiamo anche che il gruppo ha mandato a casa il suo amministratore delegato recentemente, e se lo ha fatto è perché non era soddisfatto né della visione, né della strategia, né dei risultati. Il fatto che non ci sia ancora un successore a Tavares è un segnale chiaro: Stellantis oggi è un po’ in balia di se stessa. E non è un dettaglio trascurabile, perché l’Ad conta eccome. È una figura che può determinare il successo (o il fallimento) di un’azienda.
Stanno venendo al pettine i nodi creati dallo stesso Tavares. È ovvio che il prossimo amministratore delegato non potrà avere la stessa mentalità di quello passato: negli ultimi due anni è cambiato tutto. Quello che funzionava prima non basta più. Serve una figura in grado di leggere bene i nuovi scenari, geopolitici e strategici. E infine, diciamolo: il Green Deal, in America è stato accantonato, in Cina non è mai esistito, e in Europa con ogni probabilità verrà riformato o sospeso. Perché ormai è sotto gli occhi di tutti: così com’è, sta ammazzando il settore.