Economia

Banche, in 12 mesi bruciati 38 miliardi. Risparmio: capitale in fumo dal 2008

2018 negativo per le banche italiane, dai picchi del 2007 perdite restano colossali

Un 2018 da dimenticare, decisamente, per le banche europee ed italiane, anche ieri in calo in borsa: a scorrere l’elenco delle performance sugli ultimi 12 mesi c’è da farsi tremare i polsi con Intesa Sanpaolo, la “capoclasse”, che ha perso oltre il 30%, Unicredit già oltre il 36% di perdite col titolo nuovamente sotto i 10 euro per azione (non accadeva dall’estate 2016), Ubi Banca è attorno al 34% di calo, Banco Bpm che segna -21% abbondante, come Bper Banca, mentre Mps vale oltre il 61% in meno di dodici mesi or sono. Anche tra i titoli a media o piccola capitalizzazione la musica non cambia: Banca Carige, in attesa di vedere se l’aumento da 400 milioni andrà o meno in porto, resta oltre l’85% al di sotto dei livelli di un anno fa e pur rimbalzando dai recenti minimi non raggiunge neppure gli 85 milioni di capitalizzazione.

Creval, che un aumento di capitale da 700 milioni l’ha completato il marzo scorso, segna -65%, persino Credem, considerata da molti tra le banche più “sane” a Piazza Affari, non riesce a evitare una perdita del 30%, mentre Mediobanca resta per ora la migliore con un -20% (ma già ieri ha perso un ulteriore 3,5%). In soldoni fanno 38 miliardi in meno di capitalizzazione nell’arco degli ultimi 12 mesi, con le perdite in valore assoluto peggiori toccate proprio a Intesa Sanpaolo (che ha visto “svanire” oltre 14,5 miliardi di capitalizzazione), Unicredit (12,8 miliardi in meno), Ubi Banca (sotto di 3 miliardi) e Mps (2,675 miliardi in meno per l’istituto controllato col 68,25% dal Tesoro).

Uno scenario negativo su cui pesano una serie di fattori che vanno dalla redditività pressoché nulla se non negativa delle attività bancarie tradizionali all’esposizione al debito sovrano, dal peso della “pulizia di bilancio” fatta a colpi di accantonamenti, svalutazioni e cartolarizzazioni di sofferenze e inadempienze probabili alla progressiva dismissione di asset e attività non più strategiche.

Eppure il rosso di questi ultimi 12 mesi è ancora poca cosa rispetto allo scenario veramente “post-atomico” che emerge confrontando le quotazioni (e capitalizzazioni) attuali rispetto ai picchi raggiunti circa 11 anni fa, nel maggio 2007, prima dell’esplodere della crisi dei mutui “subprime” che dopo qualche mese avrebbe portato al fallimento di Bear Stearns prima e Lehman Brothers poi, sfociando nella peggiore crisi economico-finanziaria dagli anni 30 del secolo scorso.

In termini rettificati per tener conto dei successivi aumenti di capitale intervenuti, Intesa Sanpaolo arrivò a valere 5,83 euro per azione, Unicredit toccò un picco di oltre 215 euro, Banco Bpm superò brevemente i 100 euro, Ubi Banca si fermò appena sotto i 21,2 euro, Bper Banca arrivò a 19,3 euro, Mps addirittura superò l’equivalente di 9.300 euro. Tra le piccole e medie capitalizzazioni Banca Carige, ormai scivolata ben al di sotto del centesimo per azione (oggi oscilla a 0,16 centesimi a titolo), all’epoca aveva toccato i 48,5 euro, Creval oltre i 12,2 euro, Credem i 12,65 euro, Piazzetta Cuccia era arrivata a vedere i 17,5 euro per azione.

Come dire che ciò che c’era “prima” e ciò che c’è oggi “dopo” la crisi del 2008 sono due mondi totalmente e probabilmente irrimediabilmente diversi. Chi fosse stato azionista di Carige all’epoca, oggi avrebbe perso il 99,997% del suo capitale, ossia tutto, ma anche chi avesse avuto la fortuna di essere socio di Mediobanca, la più solida in assoluto, avrebbe subito una perdita del 58%.

In una valle di lacrima anche gli ex azionisti di Mps (-99,985%), Credito Valtellinese (-99,44%), Banco Bpm (-98,06%) e Unicredit (-65,45%), coi soci di Bper Banca (-83,16%), Intesa Sanpaolo (-67,24%) e Credem (-60,95%) che potrebbero consolarsi nel constatare di aver limitato i danni, ma difficilmente potrebbero sperare di veder azzerate le perdite pregresse entro i prossimi anni.

Luca Spoldi