Economia

Banco Popular, assist per le banche venete: soluzione più vicina. Ecco perché

La grana Arca Sgr, però, complica il salvataggio

La differenza non è trascurabile: nel primo caso il 40% complessivo di Arca Sgr che le due banche venete hanno messo in vendita porterebbe a un incasso di circa 280 milioni, di poco più di 190 milioni nel secondo. Tra cessioni e “sconto” da parte della Commissione Ue la richiesta di capitali privati potrebbe comunque ridursi a meno di 700 milioni, un importo robusto ma non impossibile da collocare sul mercato nel caso di un’emissione di bond AT1 o AT2, sempre che ci si accordi sul rendimento da concedere ai sottoscrittori. Diversamente si procederà con un bail in che, come nel caso spagnolo, potrebbe, anche se non è certo, risparmiare gli obbligazionisti senior e i depositanti anche sopra i 100 mila euro per deposito.

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Visto anche che le maggiori banche italiane, Intesa Sanpaolo e Unicredit in testa, dopo le perdite accusate dal fondo Atlante (3,5 miliardi di euro versati nei due istituti che ora rischiano di andare in fumo) non sono disposti a fare ulteriori sforzi né attraverso il veicolo che avrebbe dovuto risolvere la crisi bancaria italiana ma sin dall’inizio non è riuscito a raccogliere risorse sufficienti all’arduo compito, né direttamente rilevando uno o entrambi gli istituti, non esistono infatti concrete alternativi, neppure quella, ipotizzata dal Corriere della Sera, di una “ordinata liquidazione”.

La messa in liquidazione implica infatti l’esistenza di un gap tra l’attivo e il passivo degli istituti, gap che dovrebbe essere colmato ripartendo l’onere su tutti i creditori (azionisti, obbligazionisti junior, obbligazionisti senior e depositanti oltre i 100 mila euro, nell’ordine), e proprio al fine di ridurre tale onere si dovrebbero richiamare a vista tutti gli affidamenti, anche quei 30 miliardi di crediti “in bonis”, questa volta evidentemente sì con un effetto “sistemico”.

Solo dopo aver liquidato le posizioni le due banche potrebbero procedere al rimborso dei crediti secondo l’usuale ordine di priorità e dunque: prima i creditori privilegiati e speciali, poi quelli ordinari, quindi i chirografari (come i correntisti sopra i 100 mila euro per deposito). Sarebbe la fine delle due banche attuali, in modo anche più drastico di quanto accaduto non solo al Banco Popular ma anche a Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFe, risolte a fine 2015 con una procedura che l’entrata in vigore della direttiva BRRD rende già di per sé non più utilizzabile.

Luca Spoldi