Economia

Cresme. Lavori pubblici, prospettive di crescita per un mercato trasformato

Eduardo Cagnazzi

Bellicini: "Meglio questo che niente: anche la spesa dei fondi europei a rilento nel 2015 e 2016". Brancaccio (Acen): l'inversione di tendenza non c'è ancora

Segno più per i lavori pubblici in Italia, ma si tratta solo di un’inversione di tendenza che si osserva dall’anno scorso. Tiene il residenziale con le ristrutturazioni, ma la produzione privata stenta a decollare in attesa di tempi migliori. Vale a dire quando il quadro politico ed economico sarà più chiaro. “Meglio questo che niente, visto che sono stati spesi nemmeno i fondi europei nel 2015 e 2016”, ha affermato a Napoli il direttore del Cresme Ricerche, Lorenzo Bellicini,  nel corso della presentazione dello studio Icona di Acen. Un andamento, dunque, ancora in chiaroscuro, ha sostenuto Bellicini, che risente anche del cambio del quadro normativo che “non ha aiutato ad attivare bandi e, dunque, a realizzare le opere in programma, causando solo incertezze”. Ciononostante, i primi quattro mesi dell’anno sembrano dare speranza ad un settore che se ha toccato il fondo dal 2007, data d’inizio della grande crisi, vuole risalire la china. Così, dopo dieci lunghi anni caratterizzati da una lunga fase recessiva, il mercato dei bandi di gara per opere pubbliche comincia a segnare qualche risultato positivo. Con 23.507 gare promosse in Italia per un valore di circa 32,9 miliardi nel 2018 (18.486 gare nel 2017 per un importo di 24,993 mld) tornano a crescere le opportunità per le imprese e le risorse per investimenti pubblici, dopo il forte rallentamento del 2016 e 2017 dovuto, almeno in parte, all’introduzione di una serie di innovazioni normative culminate nell’adozione del decreto legislativo 50/2016 in materia di contratti pubblici. In sostanza è tutto il Centro-Nord che registra una dinamica espansiva del mercato dal punto di vista del numero di interventi (Lombardia +37,3%, Piemonte +16,8%, Veneto +23%, Emilia Romagna +26,%) ma le gare sono in crescita anche nel Mezzogiorno con la Campania capofila con 1.381 bandi e importi per 2,8 miliardi. Seguono Puglia e Sicilia.  Segno più per i lavori pubblici anche a Napoli e in Campania, “ma si tratta solo di un segnale positivo e non di un'inversione di tendenza, dopo dieci anni di crisi. In più, il cambiamento continuo delle norme non aiuta ad attivare bandi e, dunque, a realizzare le opere”, ha sottolineato il presidente dei costruttori napoletani, Federica Brancaccio (nella foto).  Gli ultimi dati confermano infatti la ripresa per il mercato campano: tra gennaio e marzo 2019 aumentano del 23% le gare rispetto al primo trimestre 2018, così come aumentano le risorse del 12,7%. Il trend espansivo riguarda tutte le classi di lavori di importo compreso tra 350mila e 5 milioni di euro. In flessione dunque i micro lavori fino a 350mila e gli appalti più grandi. I ribassi in Campania, invece, sono in media del 27,3%, in linea con il sud del Paese e la Lombardia.

In regione, inoltre, come in tutto il Sud, il ridimensionamento delle gare è stato più importante ed è durato di più rispetto alla media nazionale. Dinamica simile per la spesa: entrambe sono tornate a crescere solo nel 2018. Non sempre, infatti, aumentando le gare aumentano l’effettiva spesa dei fondi pubblici. Quanto alle aggiudicazioni, lo studio evidenzia che nel 2018 con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sono state assegnate il 70% delle gare (pari al 91% degli importi in gara). Napoli si conferma poi primo mercato per contratti aggiudicati con 82 aggiudicazioni di importo superiore a un milione di euro (per un valore pari a 416 milioni) in un solo anno, accaparrandosi cioè il 55% delle opportunità in regione.

I criteri di aggiudicazione delle gare

Lo studio rileva inoltre che la  dinamica espansiva del mercato nel 2018  ha  riguardato i criteri del prezzo più basso e dell’offerta economicamente più vantaggiosa,  cresciuti sia in termini numerici che economici. Se nei primi anni 2000 il ruolo prioritario era attribuito al criterio del prezzo più basso (per il 90% delle gare), il ricorso a questo criterio si è via via ridotto fino al 2015, quando diventa   minoritario rispetto quello dell’offerta economicamente più  vantaggiosa, che raggiunge proprio nel 2018 il livello più alto, pari al 70% del numero e più del 91% degli importi in gara. Un processo che potrebbe modificarsi, stante la norma contenuta del Dl Sblocca Cantieri che prevede l’applicabilità del criterio del massimo ribasso per le gare di importo fino alla soglia europea di 5,5 milioni di euro.