Economia

CdB, Gavio, Boroli-Drago e Lunelli: l'agrifood conquista il capitalismo

Da De Benedetti ai Boroli-Drago, da Farinetti ai Lunelli, la filiera agroalimentare (che rappresenta il 3,9% del Pil) attrae le grandi famiglie imprenditoriali

La filiera agroalimentare piace sempre di più ai grandi capitali vecchi e nuovi in Italia e se ad un estremo questo significa investire in formule distributive, come ha fatto Oscar Farinetti (la cui holding Valori e Mestieri ha partecipazioni anche nel Pastificio Afeltra di Gragnano e nella casa vinicola Fontanafredda) con Eataly, che negli anni ha trovato soci come la Tip di Giovanni Tamburi, Luca Baffigo Filangeri e Elisa Miroglio (sorella di Giuseppe ed Elena, a capo dell’omonimo gruppo tessile di Alba), e che nei prossimi mesi potrebbe aprire le porte a un nuovo socio cinese, all’altro estremo sono molti i grandi gruppi con interessi rilevanti in terreni e aziende agricole.

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Nel 2014, ad esempio, il controllo di Bonifiche Ferraresi (7 mila ettari di terreni agricoli tra le provincie di Ferrara e di Arezzo) è stato ceduto dalla Banca d’Italia, che lo deteneva fin dal 1942, a una cordata composta dalla Fondazione Cariplo, dalla Per Spa di Carlo De Benedetti, da Sergio Dompé (numero uno di Dompé Farmaceutica), da Aurelia Spa, dall’Inalca dei Cremonini e dalla famiglia Gavio, senza dimenticare Farchioni, la holding dei Consorzi Agrari Italiani Ocrim, Bios Line e l’onnipresente Cdp.

I nuovi azionisti, come primo atto, hanno nominato amministratore delegato della società Federico Vecchioni, manager poco più che 40enne ma già ex presidente nazionale di Confagricoltura, poi passato a Coldiretti, che di Bonifiche Ferraresi vuole fare il player italiano di riferimento del settore agro-industriale, un “campione nazionale” che possa giocare il ruolo di un polo agricolo europeo di eccellenza per dimensione, capacità produttiva e qualità dell’offerta.

Karin Kildow  Lindsey Vonn  Lisa Vanderpump  Matteo Lunelli
 

Primo passo: l’acquisizione nel novembre del 2017 di Sis-Società Italiana Sementi, per favorire una verticalizzazione del gruppo e l’introduzione del marchio Le Stagioni d’Italia per passare dalla vendita all’ingrosso a produzioni B2C. Ma l’agrifood piace anche ad Assicurazioni Generali, che con la subholdig Generagricola già possiede 13 mila ettari coltivati e che poche settimane fa ha acquisito altri 1.770 ettari di foreste secolari in Romania.

Un investimento “in linea con il nostro core business” ha spiegato Giancarlo Fancel, presidente Genagricola e Chief financial officer di Generali Italia, aggiungendo: “Si tratta di un investimento di lungo periodo, soggetto a minime oscillazioni nel tempo, con buoni rendimenti annui, sostenibile e rinnovabile. In tutto Generagricola raggruppa 23 aziende in Italia, tra cui sette vinicole (cui fanno capo i marchi Borgo Magredo, Bricco dei Guazzi, Costa Arènte, Gregorina, Poggiobello, Solonio, Tenuta Sant’Anna, Torre Rosazza, Vineyards V8+) e 2 all’estero (una è la cantina rumena Dorvena), per un totale di 13 mila ettari coltivati".

Marchionne Genagricola APEAlessandro Marchionne, amministratore delegato di Genagricola
 

Che il settore agroalimentare interessi così tanto vecchi e nuovi “grandi capitali” non deve stupire: secondo un recente studio di Intesa Sanpaolo, che non ha mai fatto mistero di voler diventare la banca di riferimento dell’intera filiera italiana, il settore rappresenta il 3,9% del Pil, avendo generato lo scorso anno un valore aggiunto superiore ai 60 miliardi di euro (di cui 33 per l’agricoltura, silvicoltura e pesca e 27,3 per l’industria alimentare, delle bevande e del tabacco).

Una produzione che in Europa è superata solo da quelle di Francia e Germania ma che è saldamente al primo posto per qualità e ricchezza con 294 certificazioni alimentari (Dop, Igp e Stg), di cui 53 riferite a formaggi, e 564 certificazioni (Dop e Igp) per vini e liquori. Proprio il vino è il focus della produzione di Masi Agricola, azienda della Valpolicella controllata e gestita dalla famiglia Boscaini leader nella produzione di vini premium, quotata in borsa e nota in tutto il mondo per i suoi Amaroni. Non hanno invece mai pensato alla borsa i Lunelli, proprietari delle cantine Ferrari, produttrice di spumanti metodo classico che nel 2014 ha rilevato dai Bisol il 50% dell’omonima cantina, specializzata nel prosecco di Valdobbiadene e che quest’anno dovrebbe fatturare circa100 milioni di euro.

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I Lunelli se non sono interessati alla borsa hanno comunque un rapporto stretto con la finanza, essendo tra gli investitori chiamati da Giovanni Tamburi in Eataly (tramite il club deal Clubitaly) assieme ad altri “bei nomi” dell’economia italiana come i Marzotto (proprietari tra l’altro dei vini Santa Margherita) e gli Angelini (cui fa capo Tenimenti Angelini, produttore di Brunello di Montalcino). Il matrimonio finanza-agrifood, come dire la sintesi tra il settore terziario avanzato e il settore primario, è anche un modo per rinnovare il secondo generando buoni profitti per il primo.

(Segue...)