Economia
La Cina svaluta ancora lo yuan. Borse in rosso
Secondo colpo di scena. La Cina ha svalutato di nuovo lo yuan, dopo una prima svalutazione avvenuta martedì. La banca centrale cinese ha fissato il tasso di cambio odierno a 6.3306 contro il dollaro, ovvero giù di un altro 1,62%. Prosegue quindi la guerra delle monete aperta da Pechino con il primo ribasso dello yuan, ribasso che Bloomberg aveva definito da record, il maggiore in 22 anni. E i mercati europei e statunitensi avevano già reagito con preoccupazione, segnando pesanti ribassi. Dal canto suo, però, il Fondo MonetarioIinternazionale ha salutato positivamente la doppia svalutazione dello yuan cinese, definendo l'operazione come un allineamento ai mercati di tutto il mondo. Oggi bisognerà però vedere come reagiranno le Borse europee e Wall Street a questo nuovo ribasso. C'è forte tensione, soprattutto per il mercato del lusso e della moda che vede l'Italia protagonista rispetto alla politica economica cinese. |
Doppia svalutazione dello yuan in 24 ore, con una mossa che non ha precedenti dal 1994. La decisione imprevista delle autorita' cinesi destabilizza i mercati europei e si teme che possa dare il via a un nuovo capitolo delle guerre valutarie. Le borse chiudono in forte ribasso. L'indice Ftse Mib segna un calo del 2,96% a 22.997 punti, poco sopra i minimi di giornata, l'All Share termina la seduta a -2,88%. A Piazza Affari pesano i timori per il possibile impatto sull'export delle aziende che hanno puntato sui mercati asiatici.
Tra i settori presi di mira quello dell'automotive, con Fiat Chrysler che accusa un -6,46%, mentre nel gruppo Cnh cede il 3,96%. Giu' Brembo (-4,07%), tra i mezzi di trasporto Piaggio perde il 6,57%. Colpito anche il lusso, con Luxottica -4,65%, Ferragamo -4,91%, Yoox -4,26%, Moncler -3,94%, Moleskine -5,36%. La banca centrale cinese ieri ha svalutato lo yuan dell'1,86%, oggi dell'1,6%, chiudendo in calo dell'1% circa a fine seduta.
E secondo fonti vicine ai circoli governativi, sono forti le pressioni politiche per svalutare ancora la moneta e favorire l'export e l'economia. La spinta sarebbe per svalutazioni graduali, che evitino fughe di capitali e non disincentivino l'utilizzo dello yuan nelle transazioni internazionali. Secondo gli esperti cinesi il deprezzamento dello yuan per essere efficace e aiutare veramente l'economia dovrebbe essere intorno al 10%.
Il ministero del Commercio di Pechino martedì ha ufficialmente apprezzato la svalutazione e le stesse fonti assicurano che nel dicastero si e' brindato per la decisione della banca centrale di abbandonare la politica dello yuan forte, che favorisce il potere d'acquisto interno e spinge le imprese cinesi a usare lo yuan negli investimenti esteri. Fino alle recenti svalutazioni, lo yuan si era apprezzato in 12 mesi del 14%. Il premier, Li Keqiang ha ripetutamente negato che Pechino intendesse procedere a delle svalutazioni, pur lanciando l'allarme per il rallentamento dell'economia. Probabilmente a far pendere l'ago della bilancia verso la svalutazione e' stato il dato shock di luglio sul calo dell'8,3% delle esportazioni cinesi. Il governo di Pechino ha fissato un target di crescita dell'economia del 7% quest'anno e intende non scostarsi troppo da questo obiettivo nei prossimi 5 anni. Il Fondo monetario internazionale plaude alla decisione della Cina: considera il nuovo meccanismo come "un passo che appare positivo", perche' consentira' ai mercati di avere un maggiore ruolo nel determinare i tassi di cambio. "Riteniamo - spiega un portavoce del Fmi - che la Cina possa raggiungere un tasso di cambio effettivamente fluttuante sui mercati entro due o tre anni".
ECONOMIA CINESE SEMPRE PEGGIO - Nuovi segnali di rallentamento per l'economia cinese. A luglio la produzione industriale, secondo i dati dell'Ufficio di statistica, è cresciuta del 6%, in frenata rispetto al +6,8% di giugno e meno del +6,6% atteso dagli analisti. Da inizio anno gli investimenti in attività immobilizzate sono saliti dell'11,2%, il passo più lento dal 2000. I dati odierni si aggiungono a quelli sulle difficoltà dell'export e alimentano nuovi timori sull'obiettivo di una crescita del del 7% nel 2015.