Economia

Confindustria, ecco i nomi per la presidenza: Gozzi, Stirpe, D'Amato e...

di Marco Scotti

Dopo il cambio dello statuto anche gli “ex” possono ambire al ritorno. E il Veneto insidia la Lombardia

Confindustria, ecco tutti i nomi per il dopo-Bonomi

Felix The Cat
 

La corsa per la presidenza di Confindustria è ufficialmente partita. Certo, i giochi sono tutt’altro che fatti e le decisioni inizieranno a delinearsi solo in autunno. Ma intanto i primi schieramenti iniziano a farsi sentire. Una è però la certezza che corre per i corridoi di Viale dell’Astronomia: l’attuale gestione viene considerata deficitaria. Per questo si è deciso di puntare su un identikit diverso: basta manager, servono imprenditori che abbiano competenza di industria e che possano fare leva su aziende solide e possibilmente di dimensioni notevoli. I nomi che girano sono sei e Affaritaliani.it è pronto a svelarli tutti. Partendo da una sorpresa: la modifica dello statuto ha permesso anche ai past-president di provare a tessere le proprie trame. E c’è chi ha preso alla lettera questa ritrovata possibilità. Altra notazione: se si volesse rispettare un’alternanza costante, dopo Bonomi ora toccherebbe a un imprenditore del Sud. Sarà così?

Per trovare un presidente di Confindustria al timone di un’impresa sopra il miliardo bisogna riportare le lancette indietro nel tempo a Giorgio Squinzi, patron di Mapei. Dopo di lui si è passati da Vincenzo Boccia, le cui “Arti Grafiche” sono intorno ai 10 milioni di fatturato, per arrivare alla Synopo, holding biomedicale da una quindicina di milioni, di proprietà dell’attuale presidente Carlo Bonomi. Prima di Squinzi, un altro gigante dell’acciaio alla guida di Confindustria con Emma Marcegaglia. 

Insomma, l’associazione ha deciso che il momento storico necessita di un cambio di passo. Un imprenditore forte – tra l’altro anche alla guida di Federacciai – al timone di un’azienda che fattura complessivamente 45 miliardi di euro. Perché? Le ragioni sono molteplici. Prima di tutto perché il momento storico richiede maggiore unità: l’inflazione, seppur rallentata, rimane alta e, di conseguenza, anche il costo del denaro. Tradotto: le imprese si troveranno di fronte a credit crunch e a un prezzo della nuova finanza particolarmente elevato.

C’è poi il Pnrr, su cui non per niente Bonomi ha sparato a palle incatenate, che rimane il vero elefante nella stanza. Il governo ha ottenuto qualche parziale vittoria, ma è certo che in Europa guarderanno con grande attenzione come verrà spesa la nuova tranche da 35 miliardi. L’Italia, tra l’altro, non sta esattamente brillando per capacità di spesa. Su oltre 40 miliardi che dovevano essere impiegati nell’intero 2023, solo 1,2 sono stati effettivamente spesi nei primi cinque mesi dell’anno.