Economia
Coronavirus, 3M, Alpha Pro Tech, Diasorin e... chi fa affari con l'epidemia
Dai respiratori individuali di 3M e Alpha Pro Test ai disinfettanti di Angelini, dai test di Qiagen al vaccino sperimentale di Moderna: chi fa affari col virus
Disinfettanti e mascherine con filtro: in attesa dello sviluppo di un vaccino contro il coronavirus Covid-19 (che, ricordiamo, non è la peste ma una forma più virulenta di influenza, pericolosa soprattutto per anziani o chi già soffre di altre patologie) gli italiani, sempre più in preda all’incertezza, si difendono cercando di migliorare i comportamenti quotidiani a colpi di maggiore igiene e più frequente ricorso ai presidi sanitari.
A guadagnarci nell’immediato, al di là di sporadici casi di speculazione (online e offline), sono principalmente i maggiori produttori mondiali, tra cui alcuni “bei nomi” quotati sui principali listini mondiali. Il gruppo 3M, ad esempio, produce e vende in Italia 24 differenti modelli di respiratori individuali monouso con protezione di livello ffp2 e ffp3 con e senza valvole (ma anche maschere antigas a pieno facciale per chi è impegnato in attività impegnative che richiedono una protezione delle vie respiratorie e del viso affidabile e resistente, come nel caso del personale sanitario).
Altro produttore di maschere protettive è la statunitense Alpha Pro Tech balzata all’onore della cronaca perché tra fine gennaio e metà febbraio ha già visto aumentare di circa 24 volte gli ordini di maschere protettive per un totale che la scorsa settimana aveva già superato i 10,4 milioni di dollari. Dal 17 gennaio a ieri, il titolo a Wall Street è passato da 3,5 a un picco di 7,7 dollari prima di calare a 7,14 dollari ieri (oggi è in calo di circa il 3% dopo i primi scambi). 3M nello stesso periodo è invece passata da 181,35 a 152,55 dollari (e oggi scivola sui 152 dollari in avvio di sedute).
Altra azienda, questa volta italiana, sotto i riflettori da quando è scoppiata la crisi da coronavirus è Angelini Pharma, multinazionale farmaceutica da 1,63 miliardi di euro l’anno di fatturato che finora non ha mai mostrato interesse per un’eventuale quotazione a Piazza Affari e che produce il disinfettante Amuchina. “La percezione dell’emergenza del diffondersi del virus ha portato - segnala l’azienda sul proprio sito ufficiale - a un incremento della richiesta di Amuchina, che l’azienda è impegnata a soddisfare sia aumentando la propria capacità produttiva sia riorganizzando le attività industriali al fine di dedicarsi prevalentemente alla produzione di disinfettanti”.
In particolare “Angelini Pharma ha aumentato la produzione nello stabilimento di Ancona e ha focalizzato la fabbrica di Casella sulla produzione di disinfettanti esternalizzando i detergenti”. Gli Angelini hanno anche precisato che “il prezzo ai propri canali diretti di tutti i prodotti a marchio Amuchina è rimasto invariato e non ha subito alcuna variazione rispetto al periodo pre-epidemia da coronavirus. L’azienda è totalmente estranea a ad alcuni ingiustificati rincari rilevati dai consumatori e segnalati anche dai media, verso i quali esprime una ferma condanna”.
Tra i gruppi farmaceutici quotati a Piazza Affari c’è invece Diasorin, specializzata nei segmenti dell’immunodiagnostica e della diagnostica molecolare e da tempo partner della tedesca Qiagen (le cui azioni a Francoforte sono passate dai 30,16 euro di fine gennaio a 34,4 euro venerdì scorso prima di scivolare sotto i 33,5 euro), già impegnata nella produzione di test diagnostici specifici per il coronavirus forniti al governo cinese.
Il segmento della diagnostica molecolare ha rappresentato il 9% del fatturato di Diasorin nei primi nove mesi del 2019 con una crescita organica dell’8,6% su base annua, vale a dire il doppio rispetto al +4,2% registrato dall’intero fatturato del gruppo e in molti scommettono che l’emergenza coronavirus potrà dare ulteriore impulso al settore, eventualmente favorendo fusioni e acquisizioni che potrebbero coinvolgere anche il gruppo italiano (che con 670 milioni di fatturato “pesa” meno della metà del partner tedesco, sugli 1,5 miliardi di dollari di giro d’affari).
Un business altrettanto interessante sarà poi quello che si svilupperà attorno al vaccino per il coronavirus Covid-19. Donald Trump ha già fatto sapere che vuole chiedere al Congresso americano altri 2,5 miliardi di dollari di cui 1 da investire nello sviluppo del vaccino, il resto a disposizione del ministero della Salute per spese discrezionali tra cui quelle per respiratori individuali e test diagnostici, appunto.
La corsa è già partita: Moderna Inc, una società biotecnologica nel Massachusetts quotata al Nasdaq, ha annunciato di aver già inviato all’Istituto nazionale delle allergie e malattie infettive (Niaid) un primo lotto del suo vaccino sperimentale mRna-1273 per avviare i test clinici di fase 1 già entro fine aprile sui primi 20-25 volontari. Il vaccino non arriverà in farmacia, ben che vada, prima dell’anno prossimo ma la risposta di Wall Street è stata immediata, dove il titolo oggi balza all’insù del 15% a 21,4 dollari riavvicinandosi ai massimi storici toccati lo scorso 10 febbraio a 23,65 dollari per azione.