Economia

Così la guerra ha azzoppato le imprese: boom dei costi energetici

Una mazzata per le aziende italiane che avranno extra-costi per 68 miliardi all'anno. I più colpiti? Agroalimentare e manifattura

I costi di produzione aumentano del 77%

Le sanzioni verso la Russia riguardano "solo" 686 milioni di euro di vendite, cioè l'8,9% dell'export italiano nel Paese e l'1,5% del totale delle nostre esportazioni. Ma le tensioni e le incertezze generate dall’invasione russa in Ucraina stanno disegnando un nuovo scenario globale con un impatto sull’attività economica difficilmente interpretabile e che si sta manifestando principalmente attraverso uno shock di offerta.

“Il Governo ha quantificato l’impatto del conflitto in una riduzione della crescita del pil nel 2022 dal 4,7% al 2,9% e nel 2023 dal 2,8% al 2,3%. Il quadro naturalmente è in continua evoluzione, ma due sono gli elementi principali da tenere in considerazione: le fluttuazioni dei prezzi delle materie prime e l'interruzione delle catene di approvvigionamento delle stesse” ha affermato Ernesto Lanzillo, responsabile Deloitte Private.

L'econnomia azzoppata

Le ripercussioni sul tessuto economico italiano sono evidenti e in gran parte dovute all’aumento dei prezzi dell’energia, dato che Russia, Ucraina e Bielorussia ne sono tra i principali fornitori mondiali, con la conseguente crescita dei costi di produzione

“Secondo le stime fatte da Confindustria, i rincari di petrolio, gas e carbone determinano per l’economia italiana un aumento dei costi di produzione del 77%, che in euro significa una crescita della bolletta energetica di 5,7 miliardi, su base mensile, e circa 68 miliardi su base annua. Le imprese, in prevalenza, hanno assorbito questi aumenti dei costi energetici comprimendo i margini e differendo gli investimenti, mitigando l’impatto sulle fasi successive della filiera produttiva. Questo, però, non è sostenibile nel lungo periodo e ciò sta portando alcune imprese a ridurre o addirittura sospendere la produzione o a programmare di farlo nei prossimi mesi”, prosegue Lanzillo.

Le supply chain a rischio

Un ulteriore impatto della crisi geopolitica è rappresentato dal rischio di interruzione delle catene di approvvigionamento. La guerra sta amplificando le difficoltà nel reperire materie prime e materiali, in particolare quelli che provengono dei territori coinvolti nel conflitto e che rappresentano input nelle catene globali del valore. 

“Come emerge dall’analisi degli economisti di Deloitte, le difficoltà sopraggiunte nel reperire le materie prime e alcuni materiali hanno innalzato i prezzi di riferimento del primo bimestre 2022, relativamente non solo a fonti energetiche, ma anche a frumento e mais, olio di girasole, fertilizzanti, nichel, alluminio, palladio e rame, argilla bianca, con impatto deciso sull’industria agro-alimentare e il Made in Italy della manifattura. Tali criticità da carenza di offerta delle materie prime sono accentuate anche dallo status della supply chain globale che subisce lo stress causato dall'aumento della domanda di beni in un contesto di tensione delle catene logistiche di trasporto indotta dalla pandemia”.

L'Unione Eruropea è la zona più colpita

Gli effetti di tale crisi a livello globale sono disomogenei tra aree geografiche e settori, e questo dipende dalla vicinanza al conflitto, dalle dipendenze delle produzioni, dai tipi di materia prima e altre commodity e, in generale, dalle connessioni produttive e finanziarie con i paesi direttamente coinvolti nella guerra.
“L’Unione Europea è una delle aree più colpite. Pur rappresentando solo il 4,8% del commercio dell'Ue, la Russia pesa fortemente nel settore energetico con il 40% delle importazioni di gas, il 25% delle importazioni di petrolio e il 47% dei combustibili solidi importati. Per l’Italia, il gas russo rappresenta il 38% del consumo, se si dovesse concretizzare una interruzione completa della fornitura di gas russo, si verificherebbero colli di bottiglia in diversi Paesi europei, incluso il nostro, derivanti da difficoltà nella distribuzione di fonti di energia alternative”, commenta Lanzillo.

Ritiro sì ma non di massa

Guardando al tema delle sanzioni e dei rapporti commerciali con la Russia, molte imprese straniere private si sono ritirate o hanno annunciato di sospendere le proprie operazioni in Russia. Tuttavia, Francia (68%) e Italia (64%) si trovano sul podio con percentuali di “non disimpegno” dalla Russia, molto vicine a quelle cinesi (75%) e più elevate rispetto a quelle tedesche (46%).

In generale, però, le sanzioni alla Russia per l’export italiano avrebbero un impatto diretto complessivamente modesto. Infatti, il blocco riguarda 686 milioni di euro di vendite in Russia, ovvero l’8,9% dell’export italiano nel paese, il quale a sua volta rappresenta solo l’1,5% del totale dell’export italiano

“In questa situazione resta della massima importanza l’implementazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Al netto di tutte le difficoltà presenti e future, infatti, l’Italia con il Pnrrdispone di uno strumento senza precedenti per rafforzare e far crescere tutta la sua economia e le sue imprese, riducendo la dipendenza energetica dalla Russia e creando le basi per una proiezione internazionale del Made in Italy sempre più dinamica, innovativa e in grado di evolvere con il contesto” conclude Lanzillo.

 

 

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