Economia
Crescita: Ue, Fmi & c. non sono il Vangelo. Gli errori di chi fa le previsioni
“Dio ha creato gli economisti per far fare bella figura ai meteorologi” diceva una battuta maligna sull’efficacia delle previsioni. In verità, chi l’ha pronunciata non aveva tutti i torti, visto quanto sta accadendo oggi, perché paradossalmente sembra che più aumentano gli strumenti a disposizione di chi prepara gli studi tecnici, e più le previsioni degli economisti (ma anche dei meteorologi) non fanno altro che collezionare brutte figure su brutte figure.
E non solo gli economisti, succede anche a chi, come i presidenti e i governatori delle Banche Centrali, che in teoria dovrebbero avere in mano le leve, e le lenti di ingrandimento per tenere sotto controllo la mappa finanziaria di tutta l’area di cui sono responsabili, di incappare nell’errore fatale che li mette a nudo, ridimensionandoli e rendendoli impotenti davanti all’imprevedibilità dell’economia quella che ogni volta si dimostra essere una scienza inesatta, anzi molto probabilmente una scienza non lo è mai stata. “Fare previsioni è molto difficile, specie se concernono il futuro”, battuta sarcastica, quanto reale, ed è quanto accaduto a Mark Carney (l’attuale governatore della BoE) che nella primavera del 2016, a ridosso dell’importante referendum in cui sarebbe stato deciso la permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea lanciò un importante allarme avvisando che nel caso avesse vinto la Brexit, le conseguenze per economia e mercati finanziari sarebbero state nefaste. Fortunatamente, non è accaduto nulla di quanto anticipato, pur con l’esito Brexit che tutti conoscono, economia e finanza hanno reagito con disinvoltura, quasi irriverente, continuando in un processo di espansione globalizzato. Un risultato tanto evidente, da costringere la più antica banca centrale al mondo, per voce del suo capo economista Andrew Haldane, a fare pubblica ammenda, recitando il mea culpa: “la Brexit sarà una catastrofe? Scusate, ci siamo sbagliati”, poche parole davanti all’evidenza dei numeri. Questa volta però, rispetto al passato, bisogna evidenziare che ci sono state delle ammissioni di colpe e delle scuse, cose che in passato, sempre in occasione di ammonimenti e previsioni per eccesso di pessimismo, se non peggio di catastrofismo, non ci sono state, frasi che sono invece state archiviate per eccesso di smemoratezza.
Dopo le scuse, però, non c’è stato nessun archivio, anzi si insiste, forse approfittando delle ammissioni di colpa c’è ora una reiterazione del “reato” previsionale, visto che a distanza di 2 anni dal referendum si torna a parlare di possibile catastrofe nel caso di mancato accordo tra i politici europei ed inglesi, ed è sempre la Boe a formulare le previsioni, sempre per voce di Carney. Dove il popolo sembra aver emesso la sua sentenza, sono le istituzioni a dimostrare tutta la loro impreparazione, non solo nelle analisi, ma anche nell’arte della trattativa, ed in tutto questo, l’unica a continuare a marciare con indifferenza è l’economia che sembra sempre più scollegata alla politica.
Ma l’Inghilterra e le sue istituzioni non sono nuove a queste debacle, perché fu proprio Gordon Brown, il Cancelliere dello Scacchiere (e successivamente Premier) che decise di vendere parte delle riserve d’oro britanniche quando le quotazioni viaggiavano poco sotto i 400$ per oncia, in quanto titolare del ministero preposto per le attività finanziarie e dunque titolare di strumenti e conoscenze per valutare l’andamento dei mercati finanziari, si disse convinto che il metallo prezioso non avrebbe avuto grandi fluttuazioni. Peccato che a breve sarebbe poi partita una delle più grandi rivalutazioni del metallo giallo che l’avrebbe portato qualche anno dopo a toccare i livello record di 1.700 $. Oggi, lo stesso Gordon Brown confessa di essere preoccupato per le future sorti dell’economia mondiale, perché, secondo le sue previsioni, la prossima crisi sarà terribile, in quanto ci troveremo senza lo spazio di manovre fiscali, monetaria e senza la volontà di reagire.
Chi è senza peccato scagli la prima pietra, e così scagli la prima pietra anche chi non ha mai sbagliato una previsione. Lo sanno bene a Davos, il luogo dove ogni inizio anno si riunisce il gotha del mondo economico, politico e della finanza per disegnare il futuro dell’umanità. Ed è proprio dalla montagna incantata di Thomas Mann che escono i più gravi previsionali, fu proprio da qui che nel 2003 Bill Gates, allora ancora al comando di Microsoft, rivolgendosi alle emergenti aziende della Silicon Valley disse “i ragazzi di Google vogliono essere miliardari e rock star, vogliono partecipare alle conferenze, vedremo se fra due anni saranno ancora sul mercato”.
Google oggi è una delle più importanti aziende al mondo, e Larry Page uno dei fondatori, oggi come allora è ancora ai vertici dell’azienda.
Ma l’errore più grande, una macchia indelebile, che ancora oggi tutti ricordano, uscirono, o forse meglio dire non pervennero nel 2008, quando a pochi metri dal grande crack finanziario, nessuno dall’invidiabile posizione di quell’alta montagna, riuscì a intravedere la tempesta che stava arrivando. “E’ inconcepibile, e sottolineo inconcepibile, che accada una recessione a livello mondiale”, furono le parole di Fred Bergsten (direttore del Peter G. Peterson Institute for International Economics di Washington), parole avvallate da Klaus Schwab, l’ingegnere tedesco, docente all’università di Ginevra che nel lontano 1971 ha fondato il World Economic Forum e da allora, annualmente organizza questo seminario esclusivo per le élite.
Poi sappiamo tutti com’è finito il 2008, a giustificazione si può dire che quello è stato un anno eccezionale, è stato un cimitero che raccoglie tutti quelli che si sono cimentati negli esercizi previsionali, che tranne per i catastrofisti di professione, tutti gli altri sono stati travolti dall’olocausto dell’ottimismo.
Economisti e non solo, perché anche per la finanza, che dell’economia sono diventati sempre più i reggitori, è stata una tragedia. Dalla lady finanza Abby Cohen, analista di punta niente di meno che di Goldman Sachs, a Richard Bernstein di Merrill Lynch, fino a Tobias Levkovich punta di diamante di Citigroup, erano tutti unidirezionalmente rialzisti con stime che svariavano da 1500 a 1700 sullo S&P500. Per la cronaca l’anno si chiuse con l’indice sotto 1.000, un bagno di sangue per gli investitori, un trauma epocale per tutte le previsioni.
Previsioni sbagliate che non colpiscono solo la crescita economica e la Borsa, ma anche il Petrolio, perché fu proprio nello stesso 2008, quando l’oro nero toccò l’apice dei 150$ al barile che molti tecnici ed esperti del settore profetizzarono che il “peak oil” (il picco di produzione) era una minaccia sempre più vicina. Oggi, 11 anni dopo, il barile non smette di rotolare, ed il petrolio quasi te lo regalano. Questo perché si sono scoperte nuove tecniche di estrazione (in Usa il fracking, l’estrazione del petrolio dalle rocce bituminose) e perché la notizia che l’esaurimento della materia prima era ormai una realtà, era la più classica delle fake news! E pensare che per Trichet, allora presidente della Bce, il pericolo era l’inflazione.
Oggi, a spaventare il mondo, e soprattutto l’Italia, sono tutte quelle serie di stime previsionali sulla crescita che se prima era data debole, ora è data per nulla, se non a rischio di recessione. Da Bankitalia, all’FMI, sino alla Commissione Europea, è una sfilza di revisioni al ribasso, l’ultima in ordine cronologico è quel 1,2% che subisce un taglio netto allo 0,2% che tanto ha fatto scalpore.
Il Debito italiano ora fa sempre più paura, quel debito che è sempre rimasto sotto minaccia esterna e che secondo Christine Lagarde può diventare un rischio sistemico. La stessa Lagarde che sempre a Davos, nel 2011 disse “ritengo che l’Euro abbia fatto il giro di boa e che la Zona Euro abbia superato il peggio” la crisi del debito è dietro di noi. Ancora non erano consapevoli di quello che sarebbe successo nell’estate dello stesso anno, fu un disastro! Situazione in cui dovette intervenire come al solito Super Mario Draghi, per placare l’ira del mercato. Mario Draghi che ancora oggi, in mezzo al frastuono delle sirene d’allarme, si dimostra essere il più dotato di buonsenso, non solo gettando acqua sul fuoco della paventata recessione, ma consigliando la calma, poche parole e poche reazioni, ragionate, ma sempre incisive.
Probabilmente perché Mario Draghi è consapevole dei punti deboli delle teorie economiche, che ostinatamente cercano di spiegare la realtà. Le teorie in realtà non sono mai giuste o sbagliate, ma sono giuste o sbagliate solo se riescono a spiegare quello che avviene nella ruvidità della realtà effettuale, che ha quella fastidiosa abitudine di essere mutevole, influenzata da mille variabili imprevedibili: guerre, inondazioni, terremoti, cattivi raccolti e soprattutto, la più mutevole, i deliri collettivi e l’umore delle persone e di quelli che vengono chiamati “animal spiritis”, il vero propulsore dell’economia.
Dunque fare previsioni, sull’economia, è come cercare di ingabbiare l’acqua con le mani, troppe mutevole e impalpabile, tutto può accadere, in qualsiasi momento, ma quello che ora dovrebbe più preoccupare il trio Conte, Di Maio e Salvini, non sono tanto le revisioni al ribasso sulle stime di crescita, bensì il fatto che nella storia, le Istituzioni economiche, non solo hanno sempre sbagliato, ma per la stragrande maggioranza delle volte, l’hanno sempre fatto per difetto.
Dunque ci aspetta una nuova recessione?
Il premio Nobel Samuelson, in merito all’arte delle previsioni, con il solito sarcasmo che lo contraddistingueva, amava ripetere “è vero che le Borse possono prevedere il ciclo economico, Wall Street ha previsto nove delle ultime cinque recessioni”.
Sarà così anche per gli economisti, FMI e la Commissione Europea?
@paninoelistino