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Economia
Crif, a luglio rallentano le richieste di mutui e prestiti dagli italiani

Il mese di luglio appena concluso ha messo in evidenza un rallentamento delle richieste sia per quanto riguarda i mutui sia per i prestiti, rilevando il numero di interrogazioni più contenuto in termini assoluti dall’inizio dell’anno. Se il confronto con il corrispondente mese del 2018 vede una variazione positiva per i prestiti, dovuto anche allo stallo che il comparto aveva fatto segnare rispetto agli anni precedenti, relativamente alle richieste di mutui e surroghe si rileva, invece, un ulteriore calo del -8,0%. Dopo alcuni anni caratterizzati da una crescita sostenuta, al marcato ridimensionamento di surroghe e sostituzioni si accompagna infatti un rallentamento delle richieste di nuovi mutui di acquisto.

È paradossale che questo rallentamento della domanda di prestiti e mutui avvenga quando il tasso di default (ovvero l’indice di rischio di credito di tipo dinamico che misura le nuove sofferenze e i ritardi di 3 o più rate nell’ultimo anno di rilevazione) del credito al dettaglio (quindi mutui immobiliari e credito al consumo) è ulteriormente sceso arrivando ad attestarsi all’1.7%. Nello specifico, per i mutui immobiliari il tasso di default si è attestato all’1,3%, addirittura al di sotto del livello pre-crisi.

Va qui sottolineato che uno dei fattori in grado di sostenere la propensione a richiedere credito è rappresentato dalla concreta possibilità di vederselo erogato; è quindi fondamentale che le informazioni relative all’affidabilità del richiedente e alla sostenibilità del finanziamento rispetto al budget familiare siano disponibili con l’ampiezza necessaria.

Ogni misura tesa ad ampliare la disponibilità delle informazioni utilizzate da banche e finanziarie per la valutazione della rischiosità e del livello di indebitamento complessivo dei richiedenti credito è utile a sostenere più favorevoli politiche di erogazione del credito a famiglie e imprese – commenta Enrico Lodi, Direttore Generale di CRIF -. Al contrario, la disponibilità di informazioni con una minore profondità induce gli istituti di credito a ridurre la propria attitudine a erogare e a cautelarsi appesantendo le condizioni di offerta praticate. Il risultato è che un più difficile discernimento di probabilità di insolvenza differenti penalizza proprio i pagatori regolari che, è bene sottolinearlo, rappresentano ben oltre il 90% dei soggetti censiti nei SIC”.

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