Economia
Eni, Descalzi spinge sulle bioraffinerie e accelera sulle rinnovabili

Il Cane a sei zampe chiude il 2020 in rosso. Ma conferma dividendo e lancia il piano di investimento da quasi 30 miliardi
Non ci potevano essere molti dubbi: il 2020 di Eni si è chiuso in pesante rosso, dopo che l’anno appena concluso ha mostrato qualcosa che sembrava essere inimmaginabile, ovvero il petrolio scambiato a prezzi negativi. D’altronde, con i trasporti bloccati o fortemente limitati a causa del Covid, era immaginabile che un’azienda che – per ora – fa ancora leva sull’oro nero dovesse patire particolarmente.
Ma fa comunque capire la portata epocale della pandemia il fatto che il Cane a sei zampe abbia chiuso il 2020 con una perdita netta di oltre 8 miliardi. E lo ha fatto soprattutto a causa dei primi due trimestri, tra i peggiori di sempre. Il quarto periodo dell’anno scorso, invece, ha visto tornare un piccolo utile adjusted (a 66 milioni), quasi nove volte in meno di quello dello scorso anno.
L’amministratore delegato Claudio Descalzi, però, ha voluto rassicurare gli azionisti, confermando una politica di remunerazione in crescita dell’8% rispetto a quella attuale, con cedole minime di 0,36 euro per azione stanti le attuali condizioni di mercato. La media del prezzo del barile di petrolio al Brent è stata di 44 dollari, un risultato tutto sommato soddisfacente se si pensa che a marzo questo valore era negativo.
"Nell’anno più difficile nella storia dell’industria energetica, Eni ha dato prova di grande forza e flessibilità, rispondendo con prontezza allo straordinario contesto di crisi e progredendo nel processo irreversibile di transizione energetica. In pochi mesi – ha detto Descalzi - abbiamo rivisto il nostro programma di spesa e minimizzato l'impatto sulla cassa della caduta del prezzo del greggio. Abbiamo anche aumentato la nostra liquidità e difeso la solidità patrimoniale. Abbiamo posto le basi per una forte accelerazione delle rinnovabili con l'ingresso in due mercati strategici: gli Usa e l'eolico offshore del Mare del Nord, con la partecipazione al progetto Dogger Bank nel Regno Unito che sarà il più grande al mondo nel suo genere".
Ma è sulla strategia futura che si concentrano le maggiori attenzioni di Eni. Lo scorso piano industriale ha sancito la decisa svolta “green”, con emissioni che dovranno essere tagliate del 25% entro il 2030 e del 65% entro il 2040. L’obiettivo finale rimane quello – in linea con l’agenda europea – di azzerare completamente le emissioni nette entro il 2050. Dal punto di vista energetico e strategico stiamo parlando di date solo all’apparenza molto lontane.
Per questo, il Cane a sei zampe ha confermato un piano che mette sul piatto sette miliardi all’anno nel prossimo quadriennio. Nel 2020 gli investimenti organici sono stati ridotti a 5 miliardi (-2,6 miliardi rispetto al budget originario a cambi costanti, pari a -35%) per gli effetti combinati del Covid e del calo del prezzo del petrolio.
Almeno un quinto del complessivo, cioè quasi 6 miliardi, dovrà essere destinato ai progetti definiti “green&gas power” di tipo commerciale. Tradotto: incrementare la capacità delle energie rinnovabili e al tempo stesso aumentare il numero di clienti, con un target fissato a 15 milioni di utenti. A queste strategie si affianca anche l’intenzione di sviluppare progetti di economia circolare e, sempre in ottica di sostenibilità, si cercherà di incrementare la portata delle bio-raffinerie.
Infine, la capacità installata da rinnovabili dovrà arrivare a 15 Gw entro il 2030, mentre il margine operativo lordo derivante da questa tipologia di approvvigionamento deve raddoppiare, entro il 2024, per arrivare a quasi un miliardo. "Stiamo crescendo per diventare uno dei maggiori operatori verdi nei Paesi Ocse e nelle altre aree dove siamo presenti", ha concluso Descalzi.