Fca, Brexit amara anche per Marchionne. Crollano le vendite di automobili
Il Ceo di Fca ha un problema: la Brexit sta facendo crollare le vendite di auto in Uk proprio mentre anche in Europa aumentano le incertezze sulla ripresa
La Brexit inizia a incidere sull’economia britannica ed europea e Fiat Chrysler Automobiles ne fa le spese anche più dei suoi concorrenti diretti. Complice una frenata dei consumi britannici, a marzo otto dei dieci maggiori produttori automobilistici presenti sul mercato europeo hanno registrato un calo delle immatricolazioni, con anche Ford, Bmw, Daimler, Nissan, Renault, Toyota, Volvo e Jaguar Land Rover costrette a leccarsi le ferite. Non solo: anche il trimestre si è rivelato il più debole degli ultimi cinque anni, con una crescita delle immatricolazioni di appena lo 0,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno passato.
Se si guarda ai singoli mercati, “l’effetto-Brexit” è evidente: in Gran Bretagna a marzo le vendite di auto nuove sono crollate del 15,7%, ma anche in Italia (-5,8%) e in Germania (-3,4%) si sono già avvertite le prime scosse di assestamento, tanto che a livello Ue il calo è di circa 100 mila vetture (-5,3%), con 1,79 milioni di vetture immatricolate contro gli 1,89 milioni di un anno fa.
Nel trimestre la domanda in Gran Bretagna è caduta invece del 12,4%, mentre in Italia ci si è assestati sul -1,5%; in questo caso le immatricolazioni mostrano ancora un contenuto rialzo rispetto ai livelli di 12 mesi or sono con un dato cumulato di 4,17 milioni di vetture immatricolate (contro i 4,14 milioni dei primi tre mesi 2017). Già da questi numeri si capisce come per Fiat Chrysler Automobiles la Brexit rischi di rompere le uova nel paniere rispetto all’obiettivo, tratteggiato da John Elkann nella sua lettera agli azionisti di Exor, di vedere un passaggio di testimone tra Sergio Marchionne e il suo successore, l’anno venturo, senza scosse e con un gruppo ripulito dai debiti ed in grado di generare forti flussi di cassa e buoni risultati.
Un gruppo, a quel punto, che potrebbe avere le carte in regola per cercare di convolare a giuste nozze con un altro produttore del vecchio continente come potrebbe essere Psa, piuttosto che dell’Asia. Il problema è che Psa, dopo l’acquisizione di Opel/Vauxall da General Motors, ha visto le sue immatricolazioni balzare all’insù (+65,9% nel trimestre, con oltre 687 mila vetture immatricolate, +59,7% a marzo con oltre 285 mila immatricolazioni), superando nettamente Fca (meno di 286 mila immatricolazioni nel trimestre, circa 119 mila solo in marzo).
Ancora peggio: solo Nissan, altro nome circolato come possibile partner di Fca, ha fatto peggio del costruttore italo-americano con una caduta dell’11% delle immatricolazioni nel trimestre (si è scesi a meno di 155 mila vetture dalle quasi 174 mila di un anno prima), accentuatasi in marzo (-17,8% con poco più di 74.600 immatricolazioni, contro le oltre 90.800 di un anno prima). Sicché per Sergio Marchionne l’Europa rischia di tornare rapidamente ad essere un mercato avaro di soddisfazioni. L’unica speranza a questo punto è che l’accentuato calo delle vendite in marzo in Gran Bretagna sia legato almeno in parte al maltempo e al confronto con un marzo 2017 che aveva beneficiato di acquisti anticipati in vista dell’incremento delle tasse sull’automobile scattate poi il mese successivo.
Anche così il difficile accordo tra Gran Bretagna e Ue sulle procedure di uscita del Regno Unito dal mercato unico ha non solo minato la fiducia dei consumatori, ma reso particolarmente prudente le aziende. Il resto lo ha fatto l’andamento del cambio, con la sterlina caduta da 1,17 a 1,08 euro tra gli inizi dello scorso anno e fine agosto, prima di recuperare terreno sino alle attuali quotazioni di 1,155 circa.
Deprezzandosi la sterlina ha ridotto la redditività delle vendite in Gran Bretagna e con essa le possibilità per i produttori di incentivare gli acquisti attraverso sconti e offerte, il tutto mentre la propensione ai consumi sta rallentando in Gran Bretagna, come confermano i dati dell’emittente di carte di credito Visa relativi a gennaio e febbraio scorsi, e mentre anche in tutta Europa aumentano i timori di un rallentamento della crescita per via della possibile applicazione di dazi alle esportazioni Ue verso gli Usa.
Luca Spoldi