Economia
Fed in direzione opposta a Bce. Il mercato: euro-dollaro ora sotto la parità. Stime
di Andrea Deugeni
@andreadeugeni
Per la prima volta dal maggio del 1994 la politica monetaria della Fed si muove nella direzione opposta a quella dell'Europa. E lo fa nello stesso mese. A 21 anni di distanza la Fed aumenta i tassi di interesse a poche settimana di distanza dai nuovi stimoli annunciati dalla Bce. Allora non esistevano nè l'euro nè la Bce e il tasso di riferimento era fissato dalla Bundesbank. Nel maggio 1994 Alan Greenspan, l'allora presidente della Fed, aumentò i tassi al 4,25% dal 3,75% per ''mantenere il trend favorevole dell'inflazione e sostenere l'espansione economica''. Allo stesso tempo la Bundesbank, guidata da Hans Tietmeier, tagliò il tasso di sconto al 4,5% dal 5% per spingere la crescita della maggior economia europea.
Con un occhio al mercato valutario, gli operatori si attendono che le mosse contrapposte delle due più importanti banche centrali del mondo, Fed da una parte dell'Atlantico, Bce dall'altra, tornino a essere i grandi driver del cambio euro-dollaro. La decisione di Draghi che il 3 dicembre ha tagliato i tassi sui depositi di soli 10 punti base, estendendo la scadenza ma non la dimensione del programma di acquisti, ha generato una reazione di delusione da parte del mercato, con un rimbalzo del cambio euro-dollaro (in realtà in parte atteso) che è tornato sopra l’1,09, scambiando ormai tra 1,0945 e 1,1004. Oggi, dopo il rialzo del costo del denaro Usa, l'euro è passato di mano per 1,0895 dollari, scendendo sotto quota 1,09.
Secondo gli economisti di Saxo Bank, la banca danese specializzata nel trading online, "l’apparente frenata del declino del cambio euro-dollaro (in parte dovuta alla riduzione della generale propensione al rischio e del conseguente eccessivo indebitamento in euro incentivato dal prolungarsi delle politiche di easing), conferma che tocchi ormai alla Fed la mossa per raggiungere la parità euro-dollaro, rimasta leitmotiv delle previsioni degli analisti per il 2016".
Se da una parte la probabilità e l’entità del rialzo sono già prezzate dal mercato, ciò non è del tutto vero per gli effetti di lungo termine di modalità e gradualità dello stesso. Sono infatti differenti le view riguardo le tempistiche con cui la parità verrebbe raggiunta: Morgan Stanley e Credit Suisse prevedono una salita del dollaro combinata ad un declino dell’euro che porti il cambio a toccare l’1,00 a fine 2016 (MS si spinge addirittura sotto la parità per il 2017). Citigroup e Goldman Sachs vedono invece una salita più veloce del dollaro che porti alla parità già nel primo trimestre. Deutsche Bank e Saxo Bank già a fine 2016 vedono un cambio ancora più basso: a 0,85 la prima e a 0.95 la seconda.
Voce fuori dal coro è piuttosto JP Morgan, che vede per la fine dell’anno un euro che si rafforzi tornando a salire fino all’1,13, sostenuto dal crescentre surplus di partite correnti dell’Eurozona (nonostante le forti differenze tra paesi membri). Secondo gli esperti della banca danese, però "si tratta tuttavia di uno scenario meno probabile, che si realizzerebbe in caso la Yellen scegliesse di deludere il mercato nonostate gli indesiderati effetti di ampia volatilità e perdita di credibilità. Inoltre, il cambio euro-dollaro nuovamente sui livelli di 1,15 indurrebbe la Bce ad intervenire con una nuova ondata di easing".