Economia
I "se" e i "ma" del fondo Atlante. Il credito esce (forse) dalla crisi
Cosa accade alle banche italiane
Il fondo Atlante? A molti è parso un tentativo di guadagnare tempo a fronte della crisi del credito italiano, ma se ci sarà impegno da parte di tutti potrebbe rivelarsi un passo in avanti importante per uscire dalla crisi in tempi ragionevoli. Atlante sta infatti faticando a trovare i 4 miliardi di euro minimi di sottoscrizioni previste (a fronte dei 6 miliardi auspicati) e se pure tutti i soggetti tirati in ballo (tra cui assicurazioni e fondi pensioni: delle prime per ora si è mossa solo il gruppo Unipol, tra i secondi ha già dichiarato la propria indisponibilità il maggiore di tutti, Cometa) si riuscissero a raccogliere 6 miliardi, è già previsto che il 70% del capitale sarà impiegato per sottoscrivere aumenti di capitale, il 30% sarà riservato ad acquisti di tranche junior delle future cartolarizzazioni di Npl (non performing loan, crediti a rishio).
E qui sorgono i primi dubbi. Dopo che Banca popolare di Vicenza (BpVi) ha dovuto dilatare all'inverosimile la "forchetta indicativa", fissandola tra 0,1 euro "minimo non vincolante" (frase che lascia aperta la possibilità di un prezzo di collocamento dei nuovi titoli persino inferiore a 10 centesimi l'uno) e 3 euro "massimo vincolante" (precisazione ampiamente pleonastica visto che non risulta esservi alcun investitore interessato a versare molto più del minimo), il rischio concreto è che a fine collocamento l'inoptato, anche a fronte di un prezzo di emissione di soli 10 centesimi, che implicherebbe una svalutazione del 99,84% dei titoli di BpVi rispetto alla valorizzazione ratificata dall'assemblea dei soci del 2014, possa superare il 75%.
A quel punto il fondo Atlante, avendo sottoscritto un accordo con Unicredit per subentrare nella sottoscrizione dell'inoptato stesso, sborserebbe 1,5 miliardi (finora garantiti da Unicredit a fronte di massimi 1,76 miliardi di aumento di BpVi) diventando l'azionista di controllo dell'istituto vicentino. Visto che il 70% di 4 miliardi sono 2,8 miliardi resterebbero appena 1,3 miliardi per garantire anche l'aumento di Veneto Banca (da 1 miliardo di euro) ed eventuali ulteriori operazioni minori come l'aumento di Cr Cesena o quello di Cr Rimini. In sostanza con l'intervento a favore delle due banche venete Atlante avrebbe già finito i soldi a disposizione per le ricapitalizzazioni, mentre resterebbero da impiegare gli ultimi 1,2 miliardi per rilevare le tranche junior di Npl cartolarizzati che non possono essere coperte dalle Gacs ma senza le quali le tranche senior, garantibili, non possono essere emesse.
E qui sorge l'altro problema: di Npl in Italia ce ne sono in tutto 360 miliardi di euro lordi e di questi circa 202 miliardi sono rappresentati da sofferenze (che finirebbero nelle tranche junior, appunto). Le banche italiane hanno mediamente accantonato fondi per coprire il 40% di tutti gli Npl ovvero il 60% delle sole sofferenze, quindi sarebbero pronte a cedere domani stesso il tutto a valori vicini a quelli netti di libro, ossia per poco più di 215 miliardi di euro a livello di Npl, o a poco più di 80 miliardi per le sole sofferenze. Con 1,2 miliardi di euro (1,5 miliardi se la raccolta di Atlante arrivasse a 6 miliardi) il fondo potrebbe rilevare meno del 2% delle sofferenze, peraltro a un prezzo che sarebbe sproporzionato rispetto a quanto paga il mercato (attorno al 20%, ossia la metà del valore che sarebbe necessario alle banche per evitare nuovi buchi in bilancio) cosa che potrebbe dar adito a sospetti di "aiuti di stato".
Gestori come quelli di Banca Ifis, specializzati nell'acquisto di pacchetti di Npl, sottolineano come lavorando bene i portafogli di sofferenze si possa recuperare molto di più che non vendendoli in blocco "a saldo" ed è vero. Peccato che il tempo corra e che non sia possibile una "giapponesizzazione" del credito che rimandi la soluzione finale da qui a 10 o 20 anni, visto che significherebbe dover razionare il credito alle imprese per altrettanto. Come se ne esce? Solo facendo ricorso alla leva, ossia facendo emettere dal fondo Atlante nuovo debito a fronte del patrimonio; ammettiamo che il fondo usi una leva finanziaria simile a quella dei suoi sottoscrittori. Intesa Sanpaolo, il cui Ceo, Carlo Messin, ha già "auspicato" una leva non eccessiva, ha ad esempio un leverage ratio (patrimonio/esposizione) pari a poco più del 6%, il più elevato delle banche italiane.
Se avesse un patrimonio di 1,5 miliardi il fondo Atlante (ma attenzione: il patrimonio del fondo è cosa distinta dai versamenti di capitale da parte degli investitori) potrebbe emettere sino a 25 miliardi di debito senza superare un leverage ratio del 6%, mentre se ne emettesse sino a 30 miliardi vedrebbe il levarage scendere al 5%. Con 25-30 miliardi (non i 45 miliardi a cui è parso accennare il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan) Atlante potrebbe comprare, attorno al 30% così da conservare un margine di guadagno per il fondo stesso ed evitare di finire sotto accusa a Bruxelles, tra il 40% e il 50% delle sofferenze presenti nei bilanci delle banche italiane. Non sarebbe la panacea di tutti i mali, ma ci si troverebbe a metà del tunnel e si inizierebbe a vedere la luce, in lontananza.
Vista la quantità di "se" e di "ma", riuscirci non sarà una passeggiata e servirà l'impegno di tutti, un grande rigore e una grande trasparenza, per fugare ogni sospetto che Atlante debba servire solo per togliere le castagne dal fuoco a qualche amico dando l'ennesimo "calcio al barattolo" che fa guadagnare tempo ma non risolve alla radice i problemi. Mario Draghi, capo della Bce, sembra sperare che tutto vada per il meglio e in settimana ha ribattuto a muso duro alle accuse tedesche che le misure adottate da Eurotower sono legittime e destinate a durare ancora a lungo, di fatto comprando ulteriormente tempo anche per risolvere la crisi italiana. Draghi peraltro sa che i tassi sottozero fanno male alle banche italiane almeno quanto a quelle tedesche, essendo una sorta di patrimoniale sui capitali delle banche stesse. Anche per questo non si poteva e non si potrà rinviare all'infinito la soluzione alla crisi del credito italiano ed europeo.