Economia
Gender pay gap di 3.000 euro, Italia indietro in Ue. Il piano del governo
Il divario globale di genere, proiettando le tendenze attuali nel futuro, si ridurra' in 99,5 anni. La previsione del Global Gender Gap Report del World Economic Forum non e' incoraggiante. E l'Italia non e' certo all'avanguardia: l'indice italiano e' poco al di sopra della media (70,6% contro 68,6%) e ci posiziona circa a meta' classifica al 70 posto al pari di Honduras e Montenegro, e poco davanti a Tanzania e Capo Verde. Prendendo a riferimento l'Europa Occidentale, l'Italia e' al diciassettesimo posto su 20 paesi, davanti solamente a Grecia, Malta e Cipro. Elaborazioni Cnel su dati Ilo prevedono che in Italia l'assorbimento del differenziale sara' conseguito nell'arco di almeno 70 anni, salvo decisi interventi normativi. L'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere, organo tecnico costituito dal Parlamento e dal Consiglio Ue, pone l'Italia nel Gender Equality Index a 63 punti su 100, in quattordicesima posizione nella Ue, di 4,4 punti sotto la media. Secondo l'Osservatorio JobPricing (in collaborazione con Spring Professional e Fondazione Libellula) a parita' di lavoro con un collega uomo, e' come se una donna italiana cominciasse a guadagnare dal 6 febbraio, prima di quella data lavora gratis. Nel 2019 la differenza retributiva tra uomini e donne si attestava all'11,1%, pari ad oltre 3.000 euro lordi annui a sfavore delle lavoratrici. Con questo trend, la parita' salariale verrebbe raggiunta in non meno di 55 anni.
L'Eurostat rileva in Italia un gap retributivo di genere, parametrato sul salario annuale medio, attorno al del 43%, di almeno 2 punti percentuali superiore alla media europea (41,1%). La penalizzazione retributiva colpisce ancor piu' le lavoratrici per le rigidita' dell'organizzazione del lavoro e per la inadeguatezza del welfare aziendale: il Rapporto annuale Inps 2018 riporta una perdita del 35% dello stipendio delle donne occupate a seguito della nascita di un figlio. Secondo uno studio del Parlamento europeo, nella Ue le donne guadagnano in media all'ora il 15% in meno degli uomini. Si va dal 23% dell'Estonia al 3% della Romania. L'Italia, secondo dati del 2017, segna 5%. Ma, fa notare l'indagine, un minore divario retributivo di genere non corrisponde necessariamente a una maggiore uguaglianza. In alcuni stati membri, divari retributivi piu' bassi, come accade in Italia, tendono ad essere collegati ad una minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. A loro volta, divari piu' alti tendono a essere collegati ad un'elevata percentuale di donne che svolgono un lavoro part-time o alla loro concentrazione in un numero ristretto di professioni.
Le cause del divario salariale sono complesse e ci sono molti fattori di cui tenere conto: sebbene le laureate superino i laureati nell'Ue e in Italia, sono sotto-rappresentate sul mercato del lavoro. Quasi il 30% delle donne lavora part-time. Le donne sono inoltre piu' propense ad avere interruzioni di carriera e a prendere decisioni professionali basate sulla cura e le responsabilita' familiari. Da notare che il divario retributivo si allarga con l'eta' mentre e' piuttosto basso quando le donne entrano nel mercato del lavoro. Pesa poi la sovra-rappresentazione delle donne nei settori relativamente a basso salario come l'assistenza, le vendite o l'istruzione e la sotto-rappresentazione nei settori dove le retribuzioni sono piu' alte. Cosi', nel 2018 erano donne solo il 41% di tutti gli occupati come ingegneri e scienziati nell'Ue. Secondo il Cnel, il settore dell'intelligenza artificiale e dei processi di digitalizzazione coinvolge le donne italiane solo per il 28% della forza lavoro. In Europa, le donne occupavano nel 2018 solo il 33% delle posizioni manageriali. Secondo l'Istat, nel 2019 la percentuale di dirigenti donna e' in Italia del 32, quella dei quadri il 46. Considerando solamente i dipendenti di aziende private, escludendo la Pa, si ha solo il 15% di dirigenti donna e il 29% di quadri donna. Per le donne e' soprattutto la difficile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro a dimezzare la quota dell'occupazione femminile italiana: sono le lavoratrici-madre a caratterizzare per il 54,3% la disoccupazione femminile e la quota di donne madri indotte ad abbandonato il lavoro per prendersi cura dei figli e' pari al 27%, di gran lunga superiore alla quota degli uomini nella stessa condizione, che e' pari ad appena lo 0,5%. Con meno denaro da risparmiare e investire, le donne sono a maggior rischio di poverta' ed esclusione sociale in eta' avanzata. Il divario di genere nelle pensioni era circa del 30% nel 2018, oscillando da un massimo del 43% in Lussemburgo a un minimo dell'1% in Estonia. In Italia, afferma il Cnel, le distorsioni di genere comportano un differenziale medio fra le pensioni percepite dalle donne rispetto a quelle degli uomini pari al 33%.
Lavoro: gender gap, il piano del governo per ridurlo
La parita' di salario e' stabilita dalle leggi, ma nei fatti la differenza retributiva tra uomini e donne e' di oltre 3.000 euro lordi annui a sfavore delle lavoratrici. Secondo i dati dell'Osservatorio JobPricing, ma anche del Globalgender gap Report del World Economic Forum, di Eurostat e del Parlamento europeo, l'Italia resta in fondo alle classifiche. Secondo il Cnel, senza interventi normativi, l'assorbimento del differenziale sara' conseguito nell'arco di almeno 70 anni. Per ridurre il gender pay gap, il ministero del Lavoro intende allora mettere in campo degli incentivi sulla retribuzione di risultato che portino le imprese ad adottare indici di produttivita' gender oriented. L'empowerment femminile e' uno degli argomenti su cui la ministra Nunzia Catalfo si sta maggiormente concentrando in vista del piano di riforme da presentare all'Europa per avere accesso agli stanziamenti del Recovery Fund.
L'obiettivo e' favorire l'ingresso delle donne nel mercato del lavoro attraverso la programmazione di incentivi alle assunzioni, con contratti di lavoro a tempo indeterminato, a tempo determinato, di apprendistato professionalizzante o di mestiere, per il triennio 2020-2022. Catalfo punta anche alla creazione di percorsi formativi fondati sull'acquisizione di nuove competenze, con particolare riguardo all'accesso alle discipline Stem (Scienza, tecnologia, ingegneria, matematica), in grado di rispondere ai nuovi fabbisogni occupazionali. Al tempo stesso, per Catalfo va incentivata la permanenza nel mercato del lavoro delle lavoratrici madri. Cio' mediante la creazione di specifici incentivi al mantenimento occupazionale al rientro dalla maternita', il contrasto al part-time involontario, alle dimissioni "in bianco" e la promozione di strumenti di condivisione delle responsabilita' genitoriali e dei carichi di cura, come il rafforzamento del sistema dei servizi socio-educativi per la prima infanzia (nidi e micronidi) e di servizi per la long-term care. Il presidente del Cnel ed ex ministro del Lavoro Tiziano Treu ritiene che la proposta di Catalfo di incentivi sulla retribuzione di risultato possa "andare bene" ma "bisogna capire come fare". "Si deve procedere con attenzione, coinvolgendo le parti sociali", avverte. "I premi sono calcolati spesso con sistemi complessi e alcuni indici di calcolo della produttivita' possono avere pregiudizi maschilisti. Occorre quindi vedere i criteri di produttivita' nei contratti nazionali e aziendali, coinvolgendo molto le parti: se si riscontrano pregiudizi non favorevoli bisognerebbe correggerli".
Il Cnel si e' occupato del problema e vi dedichera' un forum il 22 settembre: "La nostra proposta spiega Treu - e' di far si' che le aziende forniscano i dati su retribuzioni e inquadramenti, in modo da conoscere realmente la condizione lavorativa delle donne in Italia e far aumentare la consapevolezza dei divari". Ma fondamentale e' potenziare l'offerta di servizi per l'infanzia, per favorire il mantenimento dell'occupazione femminile. Due proposte che trovano l'approvazione del sindacato: secondo la segretaria confederale della Uil Ivana Veronese, per superare le differenze salariali tra uomini e donne bisogna assicurare i servizi sociali necessari alle donne lavoratrici, raccogliere e analizzare i dati sulle retribuzioni e gli inquadramenti dalle imprese ma anche prevedere premialita' per le aziende che mettono in atto politiche paritarie. La vice segretaria generale della Cgil, Gianna Fracassi, ritiene "positivo che la ministra del Lavoro si prenda in carico il tema della differenza salariale di genere" e assicura la disponibilita' del sindacato ad aprile un tavolo di confronto". Secondo Fracassi per aumentare la partecipazione delle donne al lavoro e ridurre il divario di genere vanno ora utilizzate parte delle risorse del Recovery fund.