Economia
In arrivo il Tfr in busta paga, ma chi è in crisi resta a bocca asciutta
Sarà la busta paga di maggio a ospitare la prima quota del Tfr (maturata nel medesimo mese) erogata dal datore di lavoro con risorse proprie e richiesta ad aprile dai lavoratori dipendenti. Saranno valide infatti le istanze proposte dal 3 aprile con la conseguenza che le quote di marzo ed aprile 2015 non potranno essere corrisposte. Lo prevede una circolare dell'Inps. Per tutto il periodo di operatività della misura e cioè da maggio 2015 a giugno 2018 (in cui la scelta d'incassare il Tfr non potrà essere revocata), i datori di lavoro che la corrispondono non dovranno versare, dove tenuti, le quote del Tfr al fondo di Tesoreria e/o ai fondi di previdenza complementare.
La quota di Tfr opzionata in busta paga è l'intero importo maturando anche quando il lavoratore in passato ha scelto di devolvere il trattamentodi fine rapporto ai fondi di previdenza complementare. Sulla quota, che viene tassatacon aliquota ordinaria, viene anche detratto il contributo dello 0,50%. I lavoratori devono fare richiesta all'azienda utilizzando il modulo pubblicato con il Dpcm 20 febbraio 2015 (Gazz. Uff. 19 marzo 2015) in vigore dal 3 aprile e il pagamento per le aziende da 50 addetti in su avverrà dal mese successivo alla presentazione della domanda (per quelle con meno di 50 lavoratori è prevista la possibilità di un finanziamento bancario a seguito del quale il pagamento del Tfr avverrà al quarto mese successivo di presentazione dell'istanza).
Ma non tutti i lavoratori potranno chiederlo. Quali sono infatti le categorie escluse dalla possibilità di richiederlo e dalla conseguente erogazione? La legge di stabilità 2015 esclude i lavoratori del settore privato agricoli e le colf e l'Inps ha precisato che potranno presentare domanda soltanto i dipendenti con almeno sei mesi di anzianità aziendale e che non hanno vincolato la quota in garanzia di un finanziamento, come nel caso della cessione del quinto.
Oltre a quelle soggettive, ci sono anche condizioni ostative oggettive al pagamento della quota. E cioè che non attengono al lavoratore, ma al datore di lavoro e che, dunque, non potrebbero esser note al dipendente. Le imprese che non potranno infatti dare seguito alle richieste sono quelle interessate da una procedura concorsuale o se ha sottoscritto un accordo di ristrutturazione dei debiti o un piano di risanamento. Non riceveranno inoltre la quota i dipendenti di datori di lavoro in cassa integrazione straordinaria o in deroga in prosecuzione dell'intervento straordinario. In questo caso, il divieto opera limitatamente all'unità produttiva interessata.