Economia

Incentivi auto? Già finiti, sul sito del Mise sono rimasti solo 500 euro

Quel pasticcio degli incentivi auto: la prima “coperta corta” per il Governo Conte da quando è iniziata la pandemia del Coronavirus

Di Marco Scotti

In attesa del Sacro Graal comunemente noto come Recovery Fund – anche se i venti freddi dei “frugali” e del patto di Visegrad sono tornati a spirare sulla concessione dei 209 miliardi al nostro Paese – il governo Conte si imbatte nella prima “coperta corta” da quando è iniziata la pandemia del Coronavirus: gli incentivi auto finiti e l’impossibilità, almeno per ora, di istituirli nuovamente. Il problema è di portata enorme, un mostro a quattro teste che sarebbe difficile da domare perfino per Ercole, figuriamoci per un governo che ce la sta davvero mettendo tutta, ma rischia di dover procedere a nuove chiusure selettive condannando a morte certa l’economia nostrana. L’esecutivo aveva pensato – forse con eccessivo ottimismo – di mettere a disposizione incentivi inversamente proporzionali alle emissioni delle nuove vetture acquistate: tradotto, meno inquina l’auto scelta, maggiore sarà il contributo a disposizione. Ma i fondi esauriti più in fretta sono quelli destinati ai veicoli con maggiori emissioni (ovviamente, si fa per dire, si tratta di automobili comunque a basso impatto ambientale). Un intento nobile rimasto però inutile, anzi, per assurdo, divenuto quasi dannoso.

Brevemente la normativa: il Dl Agosto ha rinnovato gli incentivi per le vetture M1 (automobili) e L (cicli e motocicli), stabilendo la portata differente a seconda delle emissioni: da 0 a 60 grammi di Co2 per Km con sgravi fino a 10.000 euro e così a scendere fino alla classe 91/110 g/km. Quest’ultima è la più rappresentata, anche perché gli obiettivi europei dei costruttori di automobili sono di ridurre le emissioni intorno ai 90 grammi per km in attesa di una transizione verso l’elettrico che si conferma difficilissima. Già a metà settembre, però, è arrivato l’allarme dei player del settore: gli incentivi per la classe 91-110 stavano terminando e oggi, sul sito del Mise, rimangono disponibili solo 500 euro.

Non solo: non avendo istituito il click day, si rischia di portare avanti una pratica con il concessionario per un veicolo che poi non avrà diritto ad alcuno sgravio. Parossistico. Tra l’altro, l’intervento del governo con i bonus aveva ridato fiato a un comparto rimasto con il cerino in mano a causa della crisi economica post-Coronavirus. Ma, come detto, il problema ha (almeno) quattro teste, tutte strettamente legate.

La prima è quella di un mondo dell’automotive che sta letteralmente boccheggiando. Secondo alcuni studi, sono a rischio – solo in Europa – centomila posti di lavoro nel 2021. Una cifra incredibile, dettata dal fatto che a settembre, in Italia, il saldo era negativo del 34% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. E attenzione, perché si tratta di dati addirittura “drogati” in positivo, visto che gli incentivi messi in campo dal governo hanno permesso l’immatricolazione di oltre 13.600 vetture in più (+9,5%) a settembre 2020 rispetto allo stesso mese dello scorso anno e ad un incremento del 47,4% di auto rottamate. Inoltre, il beneficio ambientale è palpabile: le emissioni medie di CO2 delle vetture immatricolate sono scese a livelli minimi (da 118,4 a 105,6 g/Km), circa l'11% in meno. Se lo stop agli sgravi almeno fino all’anno prossimo dovesse scoraggiare gli utenti – come è ovvio che succeda – si metterebbe a ulteriore repentaglio un settore che occupa 160 mila addetti, solo nell’area commerciale, in Italia e fattura complessivamente oltre 50 miliardi di euro.

Il secondo problema è quello della riduzione delle emissioni. Il Coronavirus ha cementato ulteriormente i propositi sostenibili dei grandi manager. Lo ha detto recentemente anche un sondaggio di Kpmg che ha fotografato le intenzioni dei Ceo mondiali: tutti vogliono essere ancora più attenti a questa tematica. Solo che quest’idea, nobilissima, mal si sposa con il trasporto privato italiano. Due terzi delle vetture che ogni giorno circolano nelle città del nostro Paese hanno più di dieci anni, e il 32% di esse è addirittura Euro 3, cioè con un profilo rilevante dal punto di vista delle emissioni. Se vogliamo aria più pulita e un mondo più attento al cambiamento climatico – ultimo in ordine di tempo a riaccendere i riflettori sulla questione, lo scrittore Jonathan Franzen – dobbiamo per forza rivedere il parco macchine (oltre ovviamente ai sistemi di riscaldamento domestico, ma questa è un’altra storia).

Terzo punto fondamentale: il Covid ha cambiato le abitudini degli italiani per quanto concerne gli spostamenti casa-lavoro e tempo libero. Basta fare un giro sui treni dei pendolari o sulle metropolitane per accorgersi che, anche ora che siamo tornati a una vita più o meno normale, sono in pochi a scegliere i mezzi pubblici. Le strade, però, sono di nuovo affollate e se si dovesse interrompere anche lo smart working si rischierebbe il collasso. Anche in questo caso, dunque, se non si vogliono vedere esplodere le aree urbane, bisogna trovare contromisure rapide ed efficaci. In un’ottica futura di smart city servirebbero parcheggi ad hoc, trasporti integrati (monopattini o biciclette per l’ultimo miglio) e soluzioni che promuovano il car pooling come avviene in California da anni. Ma siamo sempre lì: chi paga? Chi è disposto a erogare incentivi o, al contrario, a chiedere il pagamento per l’ingresso nelle aree cittadine? Al momento si rischierebbe una rivoluzione.

Quarto e ultimo punto fondamentale: la guerra al diesel. Negli ultimi 18 mesi l’Unione europea, che doveva dare un segnale forte in ottica di cambiamento climatico, ha deciso di dichiarare battaglia al gasolio. E lo ha fatto su un’onda più emotiva che scientifica. Questo non lo dicono, ovviamente, i produttori di motori diesel, ma, ancora una volta, le emissioni. Dopo anni di costante calo dell’inquinamento provocato dalle automobili, da quando si è deciso di scagliarsi contro il gasolio si è registrata una lieve – ma significativa – inversione di tendenza. D’altronde è ovvio: se si blocca il diesel, chi deve acquistare una vettura nuova ne sceglie una a benzina. Ma i moderni motori Euro 6 sono meno inquinanti se alimentati a gasolio che con il combustibile tradizionale. Il risultato è un pasticcio da cui è difficile uscire.