Economia

Industria 4.0, a che punto siamo in Italia?

Jessica Castagliuolo

Nel nostro Paese il Piano Nazionale Industria 4.0 è stato introdotto nel settembre 2016 e da allora si continua a spingere, seppur con qualche ritardo, sull’innovazione. Il polo bolognese di Philip Morris rappresenta un esempio eccellente di smart factory italiana, attraverso la quale l’azienda concretizza la sua mission aziendale volta alla creazione di un futuro senza fumo.

All’alba di quella che è ormai largamente riconosciuta come quarta rivoluzione industriale, la spinta globale all’innovazione passa per il paradigma di Industria 4.0 e dell’implementazione delle cosiddette Smart Technologies.  L’internet of Things così come il Cloud Manufacturing e l’Artificial Intelligence, caratterizzano sempre più nel profondo il settore produttivo avanzato, che sta vivendo un intenso e radicale rinnovamento.

Basti pensare che l’IoT mette in contatto, attraverso la rete, oggetti, persone e luoghi, dando vita a una connessione tra uomo e macchina del tutto inedita e di fatto rivoluzionaria.

Il nuovo paradigma è anche un manifesto culturale per un futuro estremamente rivoluzionario e innovatore rappresentato dall’idea della smart factory, dove, ad esempio, la produzione potrà essere in grado di applicare una manutenzione predittiva, correggendo gli errori in modo autonomo, i prodotti saranno sempre più personalizzati sulle singole esigenze dei clienti, il flusso di lavoro sarà più performante e l’energia utilizzata sarà quanto più ottimizzata e rinnovabile.

L’ondata di innovazione travolge anche l’Italia, dove di recente, dopo Il Piano Nazionale Industria 4.0 introdotto nel settembre 2016, presto sarà convocato un tavolo dedicato alla Transizione 4.0.

Una transizione tecnologica quanto mai imminente che le imprese del nostro Paese sembrano essere pronte a compiere; secondo una ricerca risalente allo scorso anno e condotta dall’Osservatorio Industria 4.0 , le aziende italiane sembrano  infatti adeguatamente alfabetizzate sulle nuove possibilità tecnologiche: delle 236 imprese (172 grandi e 64 PMI), distribuite su undici settori chiave, quasi tutte dichiarano di conoscere il paradigma e più della metà sono già in una fase più o meno avanzata di applicazione e implementazione delle Smart Technologies.

Tutto questo porta con sé e rende inevitabile una radicale trasformazione interna delle fabbriche e del ruolo delle competenze ricercate.  

Uno degli esempi più lampanti di tale mutamento sul nostro territorio è senz’altro Philip Morris Manufacturing & Technology Bologna SpA, affiliata italiana di Philip Morris International insieme a Philip Morris Italia, centro di eccellenza per la prototipazione, la produzione su larga scala e la formazione del personale per tutto ciò che concerne i prodotti senza fumo di nuova generazione e per i filtri ad alto contenuto tecnologico. 
Già attiva con la sua sede produttiva a Zola Predosa (BO) dal 1963, nel settembre 2016 Philip Morris ha infatti ampliato la sua presenza sul territorio emiliano con l’apertura del nuovo stabilimento produttivo nel Comune di Valsamoggia (BO). L’investimento per la costruzione della fabbrica ammonta a oltre un miliardo di euro per la costruzione, l’avviamento e la messa a regime dell’impianto con la creazione di oltre 2000 posti di lavoro.

 

Philip Morris è tra i primi player globali nella produzione di dispositivi che non generano combustione del tabacco, avendo alla base della propria mission aziendale la creazione di un futuro senza fumo.

Un tale cambiamento di rotta porta con sé l’esigenza di una radicale trasformazione interna, a partire dai modelli di business fino ai siti di produzione. Fiore all’occhiello della nuova vision il polo bolognese, vera smart factory italiana nella quale l’innovazione digitale passa per le tecnologie machine-to-machine e cloud computing e nella quale si concretizza di per sé il concetto di trasformazione aziendale.

I dipendenti sono ricercati per le loro Skills 4.0. Le competenze del futuro sono infatti sempre più “soft” e trasversali, a partire quindi dal problem solving in situazioni complesse fino al team working, allo sviluppo dell’intelligenza emotiva, del decision making, e del pensiero critico. Accanto a queste sempre più fondamentali sono le digital skills, le competenze digitali, le quali non arrestano il loro aggiornamento: dall’uso ragionato del computer per creare contenuti fino alla creazione di codici o sistemi software per l’Intelligenza Artificiale.

Non è quindi forse un caso che l’età media delle persone che lavorano nell’affiliata bolognese di Philip Morris sia di circa 33 anni: non soltanto operai del greenfield ma “Digital Makers”, persone che attraverso l’utilizzo delle competenze digitali sono in grado di guidare le macchine e risolvere i problemi in autonomia.

Si tende spesso a pensare che la rivoluzione tecnologica possa minacciare la centralità del lavoratore nel sistema produttivo, eppure proprio Philip Morris Bologna, come abbiamo visto esempio concreto di smart factory del futuro, è stata insignita nel 2019 della certificazione Top Employer Italy per il 6° anno consecutivo, per l’eccellenza dimostrata dall’affiliata in termini di programmi di sviluppo professionale, ambiente di lavoro e opportunità di avanzamento di carriera. La valorizzazione del capitale umano sembra essere quindi un prerequisito nell’industria 4.0, dove le macchine servono per aiutare, e non per sostituire l’uomo.

La vita umana dopotutto è quantistica, non meccanica: differenza immutabile tra intelligenza umana e artificiale, che ha il compito di agevolare la parte meccanica.  Pensare che le macchine possano sostituire l'uomo è forse una direzione sbagliata. La solida base umanistica che caratterizza il pensiero critico in Italia può fare ancora la differenza: usare le tecnologie accanto all'intelligenza umana è la giusta chiave e il polo bolognese di Philip Morris ne è un virtuoso esempio.