Economia
"Elkann diserta il Parlamento? Per Stellantis l'Italia è la periferia sfortunata. Tavares si ricorda del nostro Paese solo per battere cassa"
La crisi di Stellantis non è diversa da quella tedesca, la Germania ha un piano industriale, l'Italia no. Parla Marco Bentivogli, ex segretario generale dei metalmeccanici Fim-Cisl
"L'Italia è la periferia sfortunata di Stellantis: Tavares si ricorda del nostro Paese solo per battere cassa"
Elkann snobba il Parlamento e risponde con un secco "no grazie" alla convocazione per la quale era stato chiamato a riferire sulla crisi dell’automotive e sull'impegno di Stellantis in Italia. Per lui, forse, la questione è già archiviata: Tavares ha già affrontato il tema settimane fa, scatenando l’ira delle opposizioni. Ma per chi guida un gruppo che naviga tra cassa integrazione e stabilimenti fermi, forse dare qualche chiarimento diretto sarebbe stato più opportuno.
Ma Elkann non vede ragione di tornare sugli stessi argomenti, almeno non davanti ai parlamentari. Il governo invece avrebbe colto volentieri l’occasione per un nuovo botta e risposta, forse ignorando un’altra mina pronta ad accendere gli animi sindacali: il taglio di 4,6 miliardi al fondo automotive per finanziare il settore Difesa. Nel frattempo le segreterie nazionali cercano di stemperare i toni, invitando al dialogo e chiedendo di portare il confronto direttamente a Palazzo Chigi. Ma pare che in molti preferiscano la polemica a un vero piano di convergenza. Affaritaliani.it ne ha parlato con Marco Bentivogli, ex segretario generale dei metalmeccanici Fim-Cisl.
Elkann non si presenta in Parlamento per un confronto con il governo. Come giustifica questa scelta?
La principale preoccupazione è che Elkann non abbia molte novità da comunicare né alla politica né ai sindacati rispetto a quanto già dichiarato da Tavares in audizione. Sostanzialmente la solita litania per cui costa troppo produrre in Italia, con l'unica novità di spostare la 500 ibrida a Mirafiori. Dal 2021, l’azienda ha azzerato le relazioni istituzionali e industriali con il nostro Paese, li ha centralizzati a Parigi e l'Italia ora è considerata come una periferia sfortunata dell'impero Stellantis.
Tavares aveva parlato dell’Italia come di un Paese poco favorevole a causa dei costi svantaggiosi, ma si era mostrato disponibile al confronto. L'atteggiamento di Elkann non sembra invece un altro chiaro segnale di disimpegno da Stellantis?
Quello che dovrebbe preoccupare è che, dai dati di consuntivo, si registrano 12.000 dipendenti in meno dal 2021, anno di nascita di Stellantis, con gli stabilimenti in larga parte in cassa integrazione. La situazione produttiva non è positiva, e non ci si può continuare a riparare dietro la scusa che va male dappertutto o incolpare il calo del settore automobilistico in Europa, perché per esempio i dati Anfia mostrano una vera e propria crescita di Renault nell'ultimo mese. Inoltre, non c’è nulla di concreto sugli investimenti nella nuova gamma di prodotti. In più, è ormai consolidato che il progetto della Gigafactory di Termoli sia stato sospeso.
C'è poi la questione che il governo ha deciso di tagliare fondi all'automotive, una scelta che ha scatenato proteste da parte dei sindacati. Che cosa ne pensa?
Innanzitutto, i soldi sono importanti, ma bisogna avere una strategia d'impiego e imparare a spenderli bene. Le ultime risorse impegnate sono andate addirittura a produttori che non hanno investito sul nostro Paese. Tipo? Se quando si fanno incentivi sull'elettrico, e molto spesso l'unica cosa che cresce in Europa sono le auto elettriche cinesi, significa che i bonus che si fanno vanno a produttori cinesi. Sul mercato competitivo italiano, solo un terzo delle auto che si immatricolano in Italia è prodotto nel nostro Paese.
I soldi per la transizione non devono essere utilizzati per chiudere gli stabilimenti e ridurre l'occupazione, ma servono per investire in tecnologie e competenze su chi produce in Italia e anche per aiutare la trasformazione tecnologica e di competenze di tutta la componentistica, che ha necessità di cambiare pelle. Il fatto che di soppiatto il Mimit abbia spostato queste centinaia di milioni di euro dal fondo per la transizione è veramente inaccettabile e non ha nessun tipo di giustificazione.
Così facendo, non si garantisce nessun tipo di supporto a un settore che è sempre più allo sfascio. Bisogna quindi dare ragione a Tavares che lamentava in audizione una mancanza di incentivi dall'Italia?
Tavares ha ragione in parte: lui si ricorda del nostro Paese solo per battere cassa, avere risorse pubbliche e ammortizzatori sociali, e questa non può essere la prospettiva giusta per il nostro Paese. Ma deve essere quella di costruire un piano industriale con investimenti, e su quello sì che si può chiedere supporto. Ma la cosa di chiedere soldi senza un accordo complessivo sugli investimenti veri che si faranno è assolutamente inaccettabile e non dà credibilità alle sue parole.
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Che futuro vede per Stellantis in Italia?
Quando si dice che il problema generale è di tutti non è una giustificazione. Si parla tanto di Volkswagen che taglia 30.000 posti di lavoro; noi ne abbiamo già tagliati la metà, usufruendo contemporaneamente della cassa integrazione. La situazione non è meno grave di quella tedesca: almeno in Germania si sta costruendo una risposta industriale. In Italia c'è nessuna risposta, non ha né piano A né piano B, semplicemente ha anticipato al 2030 la produzione di motoristica e, di fatto, ha bloccato qualsiasi tipo di soluzione intermedia che serve a gestire la transizione.
C'è un problema di gestione dell'azienda, e lo dimostra anche ciò che arriva dagli Stati Uniti: Tavares ha tutti contro di lui negli USA. L'UAW, il sindacato, è arrabbiato perché ha bloccato gli investimenti, li azionisti che da Jeep e Ram ottenevano la possibilità di staccare cedole alquanto interessanti si sono messi di traverso, e anche i fornitori, ovvero la supply chain americana è tutta infuriata contro Stellantis. Insomma, un capolavoro d'incapacità di gestione. Mi auguro che si anticipi l'uscita di Tavares e si giri pagina sulle strategie aziendali.
Che successore immagina al suo posto?
Più che totonomi, c'è da capire che i capi azienda dell'automotive non hanno tutte queste grandi personalità. Questo è un Paese che ha fatto la guerra a Marchionne e oggi finalmente qualcuno si ricorda che forse bisognava ascoltarlo di più. Tuttavia nei gruppi europei ci sono top manager che stanno dimostrando di capire meglio il cambio d'epoca.