Economia
Mercati, vince The Donald? Addio al rally Ue. Cosa succede da qui al voto
La view del gestore
Il trimestre estivo sembra chiudersi su una nota di incertezza: il lungo rally del Nasdaq (perché di questo alla fine si è soprattutto trattato) dai minimi di marzo è stato bruscamente interrotto in settembre, mentre la correzione sugli altri mercati ha più che altro riportato gli indici sulla parte bassa di un trading range in essere da fine maggio. Per ora, quindi, al di là della correzione di poche “Mega Cap Growth Stocks” (Apple, Amazon, Tesla…), non è successo granché.
Si è parlato della seconda ondata nella diffusione dei contagi come di uno dei fattori principali per questa rinnovata incertezza, cui sembrerebbe aggiungersi ora l’attesa per l’esito delle presidenziali americane. Proprio ieri notte c’è stato il primo dei 3 dibattiti televisivi tra Trump e lo sfidante Biden, che si è concluso in un caotico scambio di insulti ed accuse con poco costrutto.
Cominciamo da qui per discutere le prospettive dei mercati per l’ultimo trimestre di questo “memorabile” 2020. Se pensavate che simili eventi avessero il potere di imprimere significativi cambiamenti nelle opinioni dell’elettorato, mi spiace deludervi: è soprattutto uno show ad esclusivo uso e consumo dei media e delle rispettive partigianerie. Storicamente l’impatto dei dibattiti elettorali è minimo, almeno negli ultimi 30 e passa anni, ai fini dell’esito delle presidenziali, e non si rileva una chiara correlazione tra chi viene percepito come “vincitore” del primo incontro e chi poi occuperà la Casa Bianca per i successivi quattro anni.
Basterebbe ricordarsi che nel 2016 Hillary Clinton vinse chiaramente tutti e tre gli scontri televisivi, per poi soccombere a novembre (oppure ricordare il 2004, quando Kerry vinse tutti gli scontri televisivi, per poi vedere Bush diventare presidente); di recente solo Clinton nel 1996 ed Obama nel 2008 (entrambi al primo mandato) vinsero chiaramente tutti i duelli televisivi per poi trionfare alle elezioni. Al secondo giro, nel 2012, Obama perse nettamente il primo duello con Mitt Romney, ma vinse ugualmente la riconferma.
Smettiamo quindi di trattenere il respiro: nulla del rumore di questi giorni influirà sull’esito delle elezioni di novembre. Per provare ad immaginare cosa potrà succedere nei prossimi mesi, meglio allora tornare all’analisi delle tendenze in atto da diversi mesi. Esistono una serie di forze che potrebbero indirizzare i mercati in senso opposto, e che riassumerei brevemente così: la Fed vs. il Fiscal Cliff, il Covid vs. il vaccino, Trump e BoJo.
Di tutti i fattori citati, forse quello (nel breve) più facile da considerare è proprio l’ultimo, ovvero i negoziati sulla Brexit tra Bruxelles e il governo di Boris Johnson (BoJo); per gli investitori al momento la questione sembra essere principalmente un problema inglese (e della sterlina). Non a caso Londra è tra le piazze azionarie che peggio hanno fatto nel 2020. Se, pertanto, si arrivasse miracolosamente a definire un accordo per l’ordinata uscita di Londra dalla UE, è sull’azionario inglese che ci sarebbe il maggior potenziale di recupero. Altrimenti continuerà la loro sottoperformance, con poche conseguenze nell’immediato per i listini continentali.
Pandemia: la ripresa dei contagi è stata citata tra i motivi principali per la correzione delle ultime settimane, ma per ora sembra essere soprattutto un fattore europeo, mentre in Usa si sta assistendo ad un calo nella diffusione dei contagi, dopo l’impennata estiva. Quindi, almeno per quanto riguarda Wall Street, non è il Covid a generare l’incertezza di questi giorni. Inoltre, appunto in vista delle urne, mi aspetto che Trump contribuisca attivamente a sostenere le attese per l’imminente arrivo di un vaccino, cosa che ovviamente verrebbe accolta con entusiasmo dagli investitori.
Evoluzione dei contagi nei principali paesi. Fonte JPMorgan
Più in generale, comunque, è diffusa la sensazione tra gli operatori che non vedremo più un lockdown totale, come sperimentato la primavera scorsa; nessun governo, semplicemente, se lo potrebbe permettere. Ciò che conta, tuttavia, è l’impatto che le notizie di questa “seconda ondata” avranno sulla dinamica della ripresa economica e sulla fiducia dei consumatori. Da questo punto di vista i dati macro sono ancora confortanti.
Giusto ieri è uscito l’ultimo sondaggio sulla fiducia delle famiglie negli Usa, in marcato miglioramento, mentre gli indici anticipatori dell’attività industriale sono ovunque in territorio espansivo, e generalmente migliori delle attese. Dove si è assistito ad una moderazione nel trend di recupero è sull’attività nei servizi, maggiormente impattati dalle restrizioni per combattere la pandemia. Insomma: continuiamo ad allontanarci dagli abissi dello scorso maggio, ma potremmo assistere ad una moderazione nella forza della ripresa, una volta consumato il fattore espansivo della “domanda compressa” accumulata durante l’inverno scorso. Eppure continueremo a crescere, grazie soprattutto agli stimoli economici posti in atto dalle Autorità.
E qui arriviamo ai fattori “pesanti”, per capire l’andamento dei mercati nei mesi prossimi. Le banche centrali stanno facendo il massimo, e sia la Fed che la Bce si sono impegnate a fare di più, se sarà necessario. La differenza, tuttavia, l’hanno fatta i governi, con i loro imponenti programmi di spesa in deficit a sostegno di industrie e consumi. Per questo ritengo che sia soprattutto l’incertezza circa il nuovo programma di spesa americana ad aver impattato sull’andamento dei listini.
Con l’esaurirsi del sostegno ai sussidi di disoccupazione negli Usa si sta verificando un improvviso calo degli stimoli fiscali (il cosiddetto “Fiscal Cliff”), ma Democratici e Repubblicani non riescono ad accordarsi per rinnovare gli stimoli e questo finisce per pesare sulle aspettative per la prosecuzione della ripresa. E’ possibile che, con l’avvicinarsi delle presidenziali, i parlamentari decidano di trovare un accordo, ma non è scontato: la cosa potrebbe sbloccarsi solo dopo il 3 novembre. Un accordo si troverà e, nella malaugurata ipotesi che lo stallo politico si protraesse (male per i mercati), mi attendo un ulteriore intervento di politica monetaria, in senso ancora più espansivo (bene per i mercati).
Alla fine, nella lista delle criticità rimane The Donald e, nello specifico, la sua reazione ad una possibile sconfitta. Tradizionalmente, le borse attraversano una fase di incertezza nelle settimane che precedono le urne; una volta che gli investitori si sono “aggiustati” circa le probabilità di vittoria dei candidati, parte il tradizionale rally azionario, che quindi può avvenire già prima dell’elezione, oppure, al più tardi, dai giorni successivi le votazioni. Fu così anche nel 2016, quando lo sbandamento iniziale per la vittoria di Trump lasciò velocemente il posto ad un forte rimbalzo, appunto selle aspettative di una politica economica fortemente espansiva. Questa volta, tuttavia, l’incertezza potrebbe accadere dopo il 3 novembre.
Il vantaggio di Biden è meno ampio di quanto i sondaggi lascino intendere, soprattutto se si guarda agli stati più contesi e determinanti al fine della nomina dei “grandi elettori”. E’ comunque un margine superiore a quello di Hillary quattro anni fa. Ad aumentare l’incertezza c’è poi il ruolo dei voti per posta, probabilmente maggiori quest’anno per via delle misure di contenimento del Covid. Non è scontato che verranno scrutinati tutti in tempo per proclamare il vincitore già il 4 novembre. Anche nel 2016 Trump gridò al complotto ed ai brogli nelle settimane che precedettero le elezioni, ma ora le sue bellicose dichiarazioni di non riconoscere un’eventuale sconfitta di misura gettano un’ombra di pesante incertezza istituzionale sull’esito di queste elezioni. Ed i mercati odiano l’incertezza più di ogni altra cosa.
L’impasse costituzionale sarebbe il vero rischio per il mese di novembre, ed in parte è già scontato nel prezzo delle opzioni su indici e futures in scadenza per quel periodo. Il precedente più prossimo (le elezioni Bush-Gore del 2000) non sono un indicatore perfetto: gli Usa stavano entrando in recessione, la Fed era impegnata a rialzare i tassi e stava scoppiando la Bolla di Internet; oggi, semmai, le condizioni sembrano opposte. Il calo degli indici fu di circa una decina di punti (S&P 500 -8.3% in novembre 2000), ma la tendenza era ribassista già dalla fine dell’estate. Se prendessimo quello storno iniziale come punto di riferimento, potremmo dire che i recenti minimi siano già un buon punto di acquisto.
Come sintetizzare tutto ciò in una chiara view di mercato per il quarto trimestre? Io continuerei a seguire la liquidità, sempre abbondante sui mercati, come chiaro indicatore di una tendenza rialzista di medio termine. Tra pochi giorni comincerà la reportistica aziendale per il terzo trimestre; se dalle società arrivasse il messaggio di una prosecuzione della ripresa degli affari, ciò potrebbe contribuire a sostenere le borse. E’ tuttavia probabile che il mercato non scelga una chiara direzione prima del 4 novembre, vista l’incertezza elettorale.
Ottobre potrebbe quindi essere una specie di mese “sprecato”, con movimenti erratici e poca direzionalità. Sarei compratore nelle settimane di eventuale debolezza; a maggior ragione comprerei nel caso di uno storno ad inizio novembre come conseguenza di un rifiuto di Trump ad accettare il responso delle urne: gli americani alla fine sono pragmatici e la spinta a concedere la vittoria verrebbe prima di tutto dal Congresso. Nel caso di una chiara vittoria, indipendentemente dal candidato, avremo un recupero di Wall Street.
I listini europei seguiranno, come sempre, la direzione di New York; il dollaro farà la differenza, in termini di performance per i nostri titoli: la tendenza all’indebolimento del biglietto verde è ormai consolidata, ma il trade sembra molto consensuale, quindi mi aspetterei un trading range tra 1.14-1.15 e 1.19-1.20 da qui a fine anno. A meno di una vittoria di Trump; in quel caso potremmo già vedere anticipato alla fine dell’anno quel sentiero di apprezzamento dell’euro verso quota 1.25 che è il target medio per l’anno prossimo di buona parte degli Uffici studi. E questo potrebbe azzoppare il rally azionario europeo.
I titoli di Stato non si sono mossi e non si muoveranno; troppo forte l’influenza degli acquisti della banche centrali per desumere qualcosa dal loro comportamento. L’obbligazionario di rischio (High Yield ed Emergenti) rimane favorito, anche se il grosso dei guadagni per l’anno è probabilmente alle spalle. Oro e metalli preziosi dovrebbero rimanere nei portafogli come posizione strutturale, a maggior ragione dopo il cambio di impostazione della Fed.
Ci tengo a sottolineare, tuttavia, come anche in una fase di rimbalzo il comportamento dei listini non si dovrebbe discostare da quanto osservato fin qui: saranno gli stessi temi e settori (Tecnologia, Industriali, Materie Prime) a guidare: l’attesa rotazione settoriale a favore dei titoli value e dei settori fin qui trascurati (Finanziari e Petroliferi su tutti) deve aspettare una chiara fine dell’emergenza Covid ed il conseguente avvio di un nuovo ciclo economico espansivo. Da questo punto di vista il messaggio dei mercati da marzo in poi è chiaro: siamo ancora nella coda del precedente rally borsistico. Un nuovo ciclo raramente parte trainato dai vecchi temi che hanno avuto successo in quello precedente.
*Strategy advisor di Swan Asset Management