Economia

Tessile-abbigliamento, fatturato da record. Intesa: la moda rischia di morire. Analisi

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Se “vestire bene il mondo” resta l’imperativo strategico della qualità della manifattura della moda italiana, è anche vero che questo patrimonio richiede politiche all’altezza della nuova sfida competitiva. Invece non è così. Le incentivazioni agli investimenti da parte delle imprese sono ancora al palo, mancano zone a burocrazia zero, mentre il carico fiscale è ancora elevato. Ciononostante, secondo quanto anticipa ad Affaritaliani.it il Centro studi Srm (Intesa Sanpaolo), la filiera manifatturiera italiana del settore tessile- abbigliamento si conferma nel 2014 il principale produttore e generatore di fatturato mondiale, pari al 36,4% con un fatturato di 78,5 miliardi di euro contro i 68,4 mld di Germania, Francia, Spagna e Regno Unito messi insieme. E non è tutto. Il valore aggiunto della filiera è pari a 21,2 miliardi (35,3%), mentre il segmento distributivo fattura 62 miliardi, posizionando l’Italia al terzo posto in Europa dopo Regno Unito (70,5 mld di euro) e Germania (70,1 mld).

Sono numeri di tutto rispetto, secondo gli analisti di Srm. Tuttavia le criticità non mancano. “La presenza di filiere sempre più estese da un punto di vista geografico e una concorrenza sempre più globalizzata stanno modificando le strategie ed anche le imprese italiane sono chiamate a fare delle scelte. Soprattutto in termini di dimensioni aziendali, oggi troppo piccole e pertanto più vulnerabili ai bruschi cambiamenti del mercato globalizzato ”, afferma Massimo Deandreis, direttore generale di Srm. Un altro punto critico è il mancato avvio di opere infrastrutturali e logistiche. Soprattutto via mare. “Le nuove tendenze produttive e distributive della filiera Moda stanno modificando la catena logistica e la modalità marittima si conferma come un canale di primaria importanza.

Soprattutto nel Mezzogiorno dove prevale il trasporto via mare (22,1%) con quasi la metà del dato complessivo italiano. Ma occorre sia efficientare l’operatività dei punti di attracco, sia procedere ad una diminuzione dei costi sostenuti dalle imprese”. La partita si gioca però anche sul terreno del carico fiscale e degli incentivi alle imprese. “Gli obiettivi di politica pubblica sono oggi concentrati quasi tutti sul risparmio energetico, dimenticando -puntualizza il direttore generale di Srm- di sostenere le imprese negli investimenti produttivi rivolti alla qualità delle produzioni.

Come andrebbero ripristinate le agevolazioni per favorire i contratti di rete. Al riguardo, gli incentivi andrebbero affrontati con un trade-off fra le esigenze di finanziamento immediato di un sistema imprenditoriale in grave crisi di liquidità e quelle di policy maker che deve ridurre le risorse per i regimi di aiuto e al contempo indirizzarli meglio verso una più efficace selettività degli interventi”. Infine, giunge alla conclusione Srm, il sistema incentivante dovrebbe avere un sistema di governance più efficace, mirato su una riduzione delle leggi e dei soggetti pubblici responsabili, eliminando duplicazioni, sovrapposizioni e addirittura interventi conflittuali l’uno con l’altro. Anche perché l’industria italiana sarà sempre più dipendente dall’estero che in tema di burocrazia, agevolazioni ed investimenti sono molto più avanti.

Eduardo Cagnazzi