Mps, Carige, Bper, Creval e PopSondrio. Le prossime fusioni del risiko
Se il buon giorno si vede dal mattino, il risiko bancario popolare italiano non offrirà grandi soddisfazioni agli investitori, che già devono scontare ribassi mediamente tra i 10 e i 50 punti percentuali da inizio anno sui principali titoli del comparto quotati a Piazza Affari. La fusione tra Banco Popolare (ai cui azionisti andrà il 54% del nuovo gruppo) e Bpm (al 46% post fusione), pur dando vita al terzo maggior gruppo creditizio italiano con 4 milioni di clienti e 2.500 filiali, oltre 25 mila dipendenti, non entusiasma.
Certo, nasce un gruppo forte di un totale attivo superiore ai 171 miliardi, una raccolta diretta di 120 miliardi a fronte di 113 miliardi di impieghi, una raccolta indiretta di 105 miliardi di cui 56 miliardi di risparmio gestito, ed un Cet1 pro-forma fully loaded stimato pari al 13,6% e phased-in al 13,7% prima di ogni intervento di ottimizzazione, ma la governance appare farraginosa e i tempi per dismettere le Npe (non performing exposure, ossia le esposizioni ai crediti non performanti) restano incerti. Monte crediti la cui riduzione (di 10 miliardi) anche Giuseppe Castagna, attuale numero uno di Bpm destinato a diventare amministratore delegato del nuovo gruppo, cercherà di accelerare.
Soprattutto gli investitori giudicano modeste sinergie per 365 milioni di euro a regime nel 2018 (di cui 290 milioni di costi e 75 milioni di ricavi), per un valore attuale complessivo di 1,9 miliardi di euro, a fronte della richiesta di 1 miliardo di euro di ricapitalizzazione (con aumento o tramite bond convertendo, entro fine anno) per il Banco Popolare ante-fusione e temono che anche le prossime operazioni possano risultare dettate più da interessi ed equilibri politici che dalla prospettiva di creazione di valore per gli azionisti presenti e futuri. Il discorso riguarda soprattutto Mps, che nell’ultimo anno ha perso oltre il 78% del valore in Borsa (oltre il 54% da inizio anno), per il quale si parla da tempo di un possibile intervento di Cassa depositi e prestiti sul quale però Giuseppe Guzzetti, presidente di Fondazione Cariplo e Acri, sembra voler smorzare le attese ribadendo che le Fondazioni socie di Cdp non hanno motivo di risalire nel capitale, quasi a dire che di aprire il portafoglio per andare in soccorso di Mps non ci si pensa proprio.
Di più: come Banco Popolare-Bpm anche Mps non potrà evitare, se vorrà convolare a giuste nozze, di ridurre dall’attuale 30% al 20% il rapporto Npe/impieghi totali. Se Cdp resta un’ipotesi tutta da valutare, Intesa Sanpaolo si è già dichiarata non interessata a eventuali “operazioni di sistema” come fu all’epoca l’acquisizione di Capitalia-Banca di Roma da parte di Unicredit, mentre pure il consigliere delegato di Ubi Banca, Victor Massiah, ha negato vi siano stati contatti per valutare un matrimonio Ubi-Mps che per molti analisti avrebbe ugualmente un modesto per non dire nullo significato industriale. Ubi Banca potrebbe comunque finire con effettuare quella che pur non essendo una vera “operazione di sistema” ci somiglia molto, ossia l’acquisizione di Banca Carige, che già a fine marzo deve presentare un nuovo piano finanziario ed entro il 31 maggio un nuovo piano industriale alla Bce. Prima di fare rotta sull’istituto ligure controllato dalla famiglia Malacalza col 17,5%, che potrebbe interessare anche a Cariparma (gruppo Credit Agricole), Massiah sembrerebbe interessato a capire meglio cosa vorrà fare Bper, ma gli emiliani per ora nicchiano e sembrano guardare alle due valtellinesi Creval e Popolare Sondrio.