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Economia
Mps, il crollo del titolo serve ai compratori ma fa male all'Italia
L'Amministratore delegato di Mps Luigi Lovaglio

Mps, il tonfo del titolo non fa bene allo Stato

Felix The Cat
 

Diceva Metastasio che “voce dal sen fuggita poi richiamar non vale”. Tradotto: le fughe di notizie non sono arginabili. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze dovrebbe saperlo bene, eppure su Mps si ostina a lasciare aperti spifferi e porticine che non fanno altro che nuocere al Monte. La banca più antica del mondo ha perso in cinque giorni oltre il 10% della sua capitalizzazione azionaria perché ha iniziato a circolare con insistenza l’idea che sarebbe stato messo in vendita un pacchetto azionario tra il 5 e il 10% delle quote in mano al Mef.

Non una mossa astuta, specialmente in un momento – insperato – in cui Siena è tornata ad essere un asset fruttifero per le casse del Paese dopo iniezioni di miliardi di euro. Anche in una giornata in cui Piazza Affari si muove in un territorio neutro, Rocca Salimbeni cede oltre il 4% e torna a correre sulle montagne russe. A poco servono le smentite di prammatica che arrivano dal Mef che, affidandosi a qualche “voce”, fa sapere che Mps verrà privatizzata nel 2024, che non c’è fretta e via dicendo. Ovvietà, signori. Perché l’accordo con l’Europa è proprio quello di liberarsi della quota del 64% delle azioni di Siena entro la metà inoltrata del prossimo anno. Dove sta la novità? Non c’è, appunto.

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Chi ha dunque interesse a far uscire queste voci? Il Mef dovrebbe tutelare maggiormente un investimento pagato con denari pubblici che deve continuare a essere attraente per potenziali partner. Che continuano a latitare, però. È il caso di dirlo: Andrea Orcel con Unicredit sta portando avanti una strategia di buyback per riportare il titolo sui livelli che gli competono. Un’operazione che sta riuscendo, che garantisce ai soci dividendi da favola e che difficilmente verrà messa a rischio, nell’immediato, per prendersi Mps. BancoBpm, che ha oltretutto un presidente che conosce Siena come le sue tasche, continua a insistere che non ha gran voglia di rilevare la banca più vecchia del mondo.

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Ci potrà essere moral suasion da parte del governo? È probabile che questo avverrà nei mesi a venire e che pressioni sempre crescenti arriveranno sul ceo Giuseppe Castagna. Ma va anche rilevato che il terzo polo potrebbe costituirsi altrove se dovesse mai andare in porto la fusione tra Bper e Banca Popolare di Sondrio sotto la regia di Carlo Cimbri e di Unipol. Certo, la presenza nel capitale dell’istituto lombardo di Francesco Gaetano Caltagirone (che detiene poco meno dell’1%) fa pensare che ci possa essere qualche movimento all’orizzonte e che il costruttore romano voglia monetizzare un investimento

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Il momento storico è complesso per le banche che, da una parte, fanno utili come mai prima d’ora. Dall’altro si ritrovano investite del ruolo di “cattivi” (come ha detto ad Affari Carlo Cottarelli) che potrebbero essere tassati sugli extra-profitti. In realtà molto difficilmente si arriverà a una massiccia richiesta nei confronti di tutti gli istituti di credito. Più facile pensare che saranno chiamati a contribuire solo i “big” per una cifra lontanissima dai 3,5 miliardi preventivati dalla premier durante il suo blitz estivo. 

Dunque, tornando “a bomba” a Siena, serve tenere i nervi saldi ed evitare spifferi che possono essere solo controproducenti. È vero, abbassando il valore di Borsa di Mps si rende più facile che qualcuno arrivi e sia disposto a comprarla “a sconto”. Ma il tempo della maxi-dote del governo è passato e ora chi vuole Siena deve mettere mano al portafoglio. Sperando che l’investimento profuso dallo Stato possa essere anche solo in parte recuperato. Salvare Siena è costato 5,4 miliardi nel 2017, cui si sono sommati altri 1,6 miliardi di aumento di capitale nel 2021. Oggi il 64% verrebbe scambiato per 1,95 miliardi a valori di Borsa correnti. Non serve dunque alimentare spifferi per deprezzare l’investimento. 

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