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Economia
Mps, Ita, nomine, Superbonus: tutte le partite di Giancarlo Giorgetti

Giorgetti sfoglia la margherita su Tim, Cdp e non solo

C’è da capire che cosa fare con Kkr e Tim e la rete unica. È vero, è un dossier prevalentemente in capo al Mimit di Adolfo Urso – in coabitazione con il sottosegretario Alessio Butti – ma al tavolo introduttivo di dicembre ha partecipato anche il Mef. E dunque Giorgetti anche sulla delicatissima partita che coinvolge la rete dell’ex-Telecom dovrà dire la sua. Qui ci si gioca una fetta di futuro del nostro Paese. Gli americani di Kkr hanno offerto 27 miliardi (tutto compreso) per la rete. Vivendi risponde che i 31 miliardi che chiede non sono frutto di una cifra sparata a casaccio ma di precise valutazioni e quindi da lì non ci si muove. Che fare? Spingere su una soluzione ibrida Kkr-Cdp? Mettere mano alla Cassa, sapendo che l’Antitrust alzerebbe più di un sopracciglio di fronte a un soggetto che detiene sia la rete ex-Tim, sia il 60% di Open Fiber. 

Ancora: il Mef ha l’82,7% delle quote di Cassa Depositi e Prestiti, il braccio armato della nostra economia che dovrà gestire i soldi del Pnrr. Qui l’urgenza non è immediata, ma l’anno prossimo andrà in scadenza anche il consiglio di Via Goito. Dario Scannapieco, l’attuale ceo, viene indicato come “Draghi-boy”. Non è solo quello, avendo lavorato con Domenico Siniscalco e Giulio Tremonti. Ma non è un mistero che Fratelli d’Italia, con la Meloni in testa, non sia esattamente entusiasta dell’economista. 

C’è il tema concessioni balneari, approvato con il Milleproroghe, che ha sancito la proroga di un anno delle attuali condizioni. Che c’entra Giorgetti? C’entra eccome. Intanto perché è il ministro dell’Economia e poi perché lo scorso anno, a febbraio, si assistette a un misterioso balletto. I leghisti Giorgetti e Garavaglia (che allora era ministro del Turismo) avocarono a loro la responsabilità di decidere il da farsi. Poi si resero conto che sarebbe stato un bagno di sangue e che i sovranisti difficilmente avrebbero apprezzato una revisione delle condizioni. E dunque ecco che 40 giorni dopo riconsegnarono la patata bollente – pardon, dossier – nelle mani di Mario Draghi. Il quale non riuscì a raggiungere una soluzione definitiva e quindi rimpallò il tema all’attuale esecutivo. Che l’ha risolta all’italiana, prorogando. 

C’è il nodo delle bollette che – è vero – sono scese ma scontano una componente energia che costa tra le due e le tre volte in più rispetto a 12 mesi fa. Buona parte dei soldi della Legge di Bilancio sono stati messi per evitare che le piazze si riempissero di aziende che non potevano più avviare i macchinari e di famiglie che vivevano a lume di candela e scaldavano i viveri con l’accendino. Ma qualcosa bisognerà fare, non si può immaginare che si continui a dipendere dalla mano pubblica.

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