Economia

Mps, l'assegno del Tesoro. Modello Lloyds Bank per Siena

Slitta ancora il via libera Ue alla ricapitalizzazione Mps, ma un lieto fine non è impossibile. Ecco come lo Stato può guadagnare evitando il bail-in

Passano le settimane, ma il titolo Mps resta malinconicamente sospeso a Piazza Affari (dal 23 dicembre dello scorso anno), complice il continuo slittamento in avanti dell’intesa che andrà definita tra l’istituto, la Commissione Ue e lo stato italiano per poter procedere con l’intervento dello Stato nella ricapitalizzazione del Montepaschi, il cui ammontare è stato identificato dalla Bce in 8,8 miliardi di euro, di cui 6,6 miliardi spetterebbero alle casse pubbliche.

Due i punti ancora in sospeso, dopo settimane di trattative: la determinazione del valore degli Npl (sofferenze bancarie) che dovranno essere ceduti e pertanto delle perdite che si dovranno iscrivere a bilancio e il rapporto costi/ricavi che la banca dovrà presentare al termine della ristrutturazione che accompagnerà il nuovo piano industriale. Quanto al primo punto, si tratta di determinare con precisione a quale prezzo gli Npl dell’istituto senese potranno essere alla fine ceduti e quindi quali perdite dovranno essere assorbite rispetto alle coperture attuali, visto che per la normativa europea gli aiuti di stato non possono comunque coprire tali perdite pregresse.

mps
 

Il punto è delicato perché al momento il mercato degli Npl valorizza i crediti deteriorati tra un minimo del 5% e un massimo del 20% il loro valore nominale, mentre il fondo Atlante ha rilevato 2,2 miliardi di Npl dalle tre “good bank” rilevate da Ubi Banca pagandoli il 32,5% del loro valore nominale (ma il sottostante era particolarmente “giovane”). Al 31 marzo scorso Mps registrava sui propri 46 miliardi di Npl lordi una copertura media del 56,1% (già in crescita dello 0,51% rispetto a fine dicembre) e dunque le perdite “nascoste” potrebbero essere tra l’11,4% (5,25 miliardi circa) se si riuscissero a vendere come nel caso di quelli delle tre “good bank”, e il 29% (13,3 miliardi circa) se li si collocasse attorno al 15% del loro valore nominale.

Non meno delicato il punto sul rapporto costi/ricavi: incidere ulteriormente su una banca che da anni ha già subito continui tagli dei costi e del personale (già calato di 5 mila unità oltre agli ulteriori 2.600 esuberi previsti dall’ultimo piano industriale, che a questo punto potrebbero raddoppiare) rischia di rendere impossibile far ripartire i ricavi, limitando di molto la capacità di recupero di Mps che a quel punto sarebbe destinata, quasi certamente, a venire rilevata da qualche concorrente, con tutte le conseguenze, anche politiche, che questo comporterebbe.

Lloyds Bank
 

Mps è dunque in un vicolo cieco? Non è detto: dall’estero arriva l’esempio di una ri-nazionalizzazione a tempo, come di fatto sarebbe nel caso di Mps (e delle due popolari venete, Bpvi e Veneto Banca) “virtuosa”, quella di Lloyds Banking Group, salvato durante la crisi 2008-2009 dall’intervento del Tesoro inglese che iniettò 20 miliardi di sterline (a fronte di 136,6 miliardi investiti complessivamente per evitare il collasso del sistema bancario britannico, solo la metà dei quali è stata finora recuperata) divenendo l’azionista di riferimento dell’istituto col 43% del capitale.

Una quota che ormai si è ridotta sotto lo 0,25% grazie a progressive cessioni sul mercato (il grosso venne collocato lo scorso anno), che dovrebbe consentire, alla fine, di registrare una plusvalenza di circa mezzo miliardo di sterline rispetto a quanto investito.

(Segue...)