Economia
Mps, nuova ricapitalizzazione in vista. In 13 anni in fumo 17 miliardi
Il calvario della banca senese e l'uscita dello Stato
Dopo il consiglio di amministrazione che dovrebbe varare l’ennesimo aumento di capitale, l’unica persona in grado di sistemare il buco nero di Mps sarebbe stata Stephen Hawking. Battutacce a parte, l’aria che si respira intorno a Rocca Salimbeni ha ripreso a farsi tossica. Dopo la condanna per falso in bilancio e aggiotaggio comminata agli ex vertici dell’istituto di credito, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, la situazione si è fatta esplosiva: la banca ha dovuto mettere in preventivo accantonamenti per ulteriori 410 milioni di euro, ma l’orizzonte che si delinea è che questa cifra possa arrivare fino a 10 miliardi di petitum nelle cause legali, di cui 6 miliardi a rischio probabile di soccombenza.
Il Cda dovrà quindi analizzare la patrimonializzazione di Mps, anche perché nel solo semestre il rosso di bilancio si è attestato a 1,1 miliardi. L’aumento di capitale potrebbe oscillare tra 1,5 e 2,2 miliardi di euro. Sarebbe un controsenso visto che l’attuale capitalizzazione dell’istituto senese è di circa 1,2 miliardi, con le azioni che vengono scambiate vorticosamente in queste ore dopo aver chiuso la precedente ottava a circa 1 euro per titolo.
Ci sono almeno tre fronti aperti che dovranno essere risolti rapidamente e, sarebbe auspicabile, in maniera definitiva. Prima di tutto, i conti: il patrimonio della banca calerà alla fine dell’anno, visto che sono stati ceduti 8,1 miliardi di non performing loans ad Amco. Con un calo dell’indice CET1 al 9,7%, combinato all’esigenza di nuovi accantonamenti in vista delle cause che fioccheranno dopo la condanna di Profumo e Viola, si impone, per rispettare i parametri europei, un nuovo aumento di capitale.

Dal 2017 la composizione è piuttosto chiara: lo Stato detiene il 68,2%, mentre Generali poco più del 4. Il problema è che l’Italia non può permettersi un bagno di sangue, in un momento storico come questo, per aiutare Mps. Alla fine del 2016, quando ci si accorse che le cose non potevano più essere sistemate, l’allora ministro Padoan stabilì di entrare nel capitale della banca acquisendo le azioni con valore nominale 4,8 euro. Oggi siamo a una perdita di quasi l’80%.
Il secondo tema di grande rilievo, strettamente collegato al primo, è che nei giorni scorsi i rumor di una fusione tra Unicredit e Mps si sono fatti più intensi. Non è un caso che il giorno della designazione di Padoan a presidente dell’istituto di Piazza Gae Aulenti, a guadagnare di più in borsa fu proprio la banca senese. Ma come potrebbe funzionare l’unione tra le due realtà? Perché Mustier dovrebbe decidere di mettersi in pancia una potenziale “bomba a orologeria”?
Logico pensare, dunque, che lo Stato dovrà per forza di cose iniettare capitali per “neutralizzare” il patrimonio. Servono circa 5 miliardi per ripulire i conti, minimizzare i rischi legali, crediti fiscali e farsi carico dei circa 6.000 esuberi (su 21.000 dipendenti) che dovranno essere previsti. In cambio, l’Italia si ritroverebbe azionista di circa il 5% di Unicredit. La richiesta di Fabi di mantenere pubblica la banca si scontrerebbe con un mero discorso aritmetico. Lo Stato finora ha messo sul piatto circa 7 miliardi, con un saldo negativo per 4,5, davvero qualcuno ha ingenuamente pensato che non ci sarebbero polemiche a non finire per un ulteriore esborso?
Il terzo problema è strutturale: negli ultimi 13 anni, cioè dall’acquisizione-suicidio di Antonveneta operata dall’allora presidente Mussari, i conti di Mps non sono mai più tornati in equilibrio. Quello che si profila sarebbe il quarto aumento di capitale negli ultimi 10 anni, il quinto dal 2007, per un controvalore di 18,5 miliardi. Una cifra enorme che non è compatibile con una gestione sana.
Dunque, che fare? Rimane la necessità per lo Stato di liberarsi di un gravame, muovendosi però sui gusci d’uovo rappresentati da una parte dall’Europa e dalle norme, dall’altra dalle associazioni di categoria che non hanno interesse a venire venduti ai privati. La clausola di moratoria dalla privatizzazione scade a fine 2021, ma dalla Fabi hanno già iniziato a chiederne la proroga. Forse, più che uno scienziato à la Hawking, per risolvere questo ginepraio servirebbe un enigmista, esperto in sciarade e in labirinti invalicabili.