Musei, se è autonomo funziona meglio - Affaritaliani.it

Economia

Musei, se è autonomo funziona meglio

di Enrico Bertacchini, Chiara Dalle Nogare e Raffaele Scuderi*

Le sentenze del Tar rimettono in discussione la riforma Franceschini che ha introdotto maggiore autonomia nella gestione dei musei. Ma rendere più autonomi quelli statali sembra essere la strategia migliore per valorizzare il nostro patrimonio culturale. Musei pubblici e autonomia L’ennesima battuta d’arresto sulla strada della valorizzazione del patrimonio culturale italiano: così molta stampa ha interpretato le sentenze del 25 maggio con cui il Tar del Lazio ha annullato la nomina da parte del ministero dei Beni e delle attività culturali di cinque direttori destinati a quei musei statali che la recente riforma Franceschini ha dotato di maggiore autonomia finanziaria e gestionale. Ma è davvero così?

Dati alla mano, sembra di sì. Il Censimento sui musei e istituzioni similari realizzato dall’Istat nel 2011 ci dice che dei 4.543 musei, monumenti e aree archeologiche considerati, 2.925 sono pubblici. Di questi, 814 sono a gestione indiretta, mentre 285 sono gestiti direttamente e dotati di bilancio autonomo. In effetti, a partire dalla metà degli anni Novanta, alcune riforme avevano già ampiamente facilitato pratiche e assetti organizzativi più decentralizzati per la gestione del patrimonio culturale pubblico, soprattutto a livello locale. In una recente ricerca ci siamo chiesti se gli assetti proprietari e la forma organizzativa influenzino le prestazioni delle istituzioni culturali nella fornitura di servizi.

Attraverso le risposte del Censimento che indicano l’attivazione o meno di servizi e attività da parte dei singoli istituti culturali abbiamo costruito quattro indicatori di efficacia del servizio, che riguardano l’accessibilità (orario fisso, stagionalità, aperture anche serali), la facilitazione dell’esperienza dei visitatori (dalle indicazioni del percorso di visita al bookshop, dagli eventi alla didattica), la visibilità sul web e il rapporto con il contesto locale. Tali “dimensioni” contribuiscono alla capacità delle istituzioni di valorizzare i propri beni culturali.

Abbiamo costruito anche un indice di efficacia complessiva come somma dei quattro indicatori, sfruttando informazioni relative a ben 39 aspetti dell’offerta di un museo. Gli istituti che hanno risposto a tutte le domande del Censimento rilevanti per la costruzione degli indici sono 2.550, tra i quali distinguiamo gli istituti pubblici tradizionali (sotto-unità di sovrintendenze o assessorati prive di autonomia), gli istituti pubblici dotati di autonomia finanziaria, gli istituti pubblici esternalizzati, gli enti privati.

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Il grafico 1 illustra come istituti culturali con assetti proprietari e organizzativi diversi abbiano risultati diversi. Se poniamo uguale a 100 il numero di servizi e attività offerti in media dalla tipologia di istituto più “performante”, si nota chiaramente che coincide sempre con gli enti culturali pubblici dotati di autonomia finanziaria.

Ovviamente, l’efficacia dipende anche da molti fattori di contesto, come l’ambiente competitivo (numero di musei nella stessa città) e il pubblico potenziale, sia locale che legato al turismo. Contano anche le caratteristiche dell’istituzione, quali l’epoca di fondazione, la dimensione, il numero di dipendenti, il mix di fattori produttivi impiegato, la tipologia (monumento, museo, sito archeologico), l’appartenenza a una rete museale di cui è possibile sfruttare le economie di scala. Una volta tenuto conto di questi altri fattori, le nostre stime evidenziano che tutte le dimensioni prese in considerazione, ad eccezione dell’accessibilità, continuano a dipendere in modo significativo da assetti proprietari e forma organizzativa.

In particolare, istituti privati, pubblici esternalizzati e pubblici dotati di autonomia finanziaria fanno meglio di quelli pubblici gestiti in modo tradizionale. Gli istituti pubblici con autonomia finanziaria hanno addirittura i risultati migliori in assoluto. Stesso discorso per l’efficacia complessiva: i migliori sono gli enti culturali pubblici con autonomia finanziaria, seguiti da quelli esternalizzati, da quelli privati (in cui appare particolarmente poco performante la sottocategoria di quelli ecclesiastici) e infine gli istituti pubblici tradizionali.

Rispetto a questi ultimi, gli enti pubblici dotati di autonomia finanziaria offrono circa il 20 per cento in più di servizi. Le indicazioni che emergono sono chiare: riformare i musei statali concedendo loro maggiore autonomia sembra essere una strategia vincente per valorizzare il nostro patrimonio culturale. Il nostro studio indica come, anche tenuto conto di tutte le particolarità di ciascun istituto culturale e del suo contesto, a una maggiore autonomia si associ un maggior numero di servizi offerti, condizione necessaria per una migliore fruizione del patrimonio culturale. L’autonomia dovrebbe essere favorita da un insieme di leggi e procedure coerenti che le facciano da cornice.

*Da Lavoce.info