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Economia
Nomine, tra Lega e Meloni è calato il gelo. Ora si rischia lo scontro: inside

Nomine, le quote rosa (che non piacciono a nessuno): i nomi Morselli e Di Foggia

La seconda affermazione della Meloni ha lasciato un po’ più spiazzati. Ha chiesto di incrementare la presenza delle donne. Detta così, non vuol dire nulla. La presenza femminile nelle stanze dei bottoni è talmente bassa da aver fatto dell’Italia la cenerentola d’Europa. Ma si può tentare di ribaltare la cosa con un colpo di spugna? Al momento siede alla presidenza di Eni Lucia Calvosa, sui cui rimborsi si è detto molto e che pare in uscita dal cane a sei zampe. Ma nei ruoli decisionali mai c’è stata una donna. E i nomi che circolano – da Lucia Morselli, ceo di Arcelor Mittal Italia fino a Giuseppina Di Foggia, capo di Nokia – sembrano non scaldare i cuori.

Una manager di primaria importanza ha commentato sarcastica ad Affari: “Le donne vengono ormai trattate come i panda. Se la Meloni vuole fare la rivoluzione, porti avanti la cultura del merito e crei una classe dirigente nuova, composta da donne capaci e brillanti che possano aspirare legittimamente alle poltrone più importanti non per il loro sesso ma perché davvero meritorie”. 

Poi c’è Poste Italiane. Matteo Del Fante ha svolto il suo compito in maniera ineccepibile e dovrebbe restare. Ma c’è un punto interrogativo: Cassa Depositi e Prestiti. L’anno prossimo ci sarà il rinnovo dei vertici e il manager fiorentino è stato direttore generale di Via Goito. Tornare da numero uno potrebbe essere assai interessante, ma c’è da battere la concorrenza di Antonino Turicchi che, una volta completata la trattativa tra Ita e Lufthansa, sarà libero di coronare i suoi sogni di gloria, dopo essere stato tenuto in caldo per il posto di direttore generale del Mef.

La Lega, così come Forza Italia, mastica amaro. La Meloni sta dilatando i tempi all’infinito perché sogna il blitz notturno con la presentazione delle liste a poche ore dalla scadenza dei termini per lasciare gli alleati con il cerino in mano. Ma Salvini non ha alcuna intenzione di cedere. Tant’è che anche sul ruolo di commissario straordinario alla siccità il leader del Carroccio nicchia. Non vorrebbe che diventasse materia di scambio. 

La Meloni, dal canto suo, ha un consenso stabile intorno al 30% dei voti, sa che ha dalla sua anche l’establishment continentale che – dopo un’iniziale diffidenza – ha capito che non è lei la parte estrema e sovranista da temere. Il doppio schiaffo della Lega durante le votazioni sulle armi in Ucraina; le parole del capogruppo al Senato Romeo raccolte da Affaritaliani.it; la consapevolezza che al momento quell’8% di voti della Lega è un “nocciolino duro” senza il quale è difficile governare rende lo scontro sempre più strisciante e continuo. Ma a due settimane dalla consegna delle liste sembra davvero che la pace sia molto lontana. Ora la premier è a Bruxelles per il vertice europeo, ma i telefoni ribollono e lei, tra i denti, ripete una frase: "Ho preso il triplo dei voti della Lega, io non mollo"

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