Economia

Petrolio, il greggio entra nella nuova era e le big oil si attrezzano per la nuova sfida

I Paesi produttori di petrolio e, in generale, tutta l'industria produttiva dell'oro nero devono cambiare pelle. Una trasformazione che, osservando alcuni piani industriali delle principali big oil company (a cominciare dall'italiana Eni), i colossi del greggio hanno già avviato da qualche semestre per fronteggiare la nuova era del petrolio il cui prezzo, secondo gli addetti ai lavori, non tornerà più ad oscillare sopra i 100 dollari al barile. Lo scenario che le varie major hanno di fronte è di quello da far tremare i polsi anche ai più preparati manager.  

Da un anno a questa parte, l'andamento imprevedibile del prezzo del petrolio alimenta l'inquietudine e il cambiamento del settore: dopo il calo iniziato a luglio 2014, quando il greggio quotava 100 dollari al barile, le quotazioni del Brent sono scese fino a 45 dollari per poi rimbalzare nel corso del 2015 a oltre 65 dollari. Quotazione ricaduta successivamente sui minimi dell'anno, in un contesto di fondamentali che restano ancora deboli. Un rapporto shock di Goldman Sachs della scorsa settimana lo vede addirittura scendere, nei prossimi mesi, a 20 dollari, rendendo ancora più difficoltoso per i produttori andare a breakeven

petrolio  ape

La chiave di lettura della debolezza del prezzo è sempre l’eccesso di offerta, in costante crescita dalla seconda parte del 2014. Il secondo trimestre 2015 si è chiuso, infatti, con un surplus record di circa 3 milioni di barili al giorno, il più alto dal 1998. Nonostante il significativo rimbalzo della domanda petrolifera, che nella prima parte dell’anno ha messo a segno l’incremento maggiore degli ultimi cinque anni, il processo di riequilibrio del mercato è rallentato da un’offerta ancora sovrabbondante. Imputato principale, come raccontano le cronache, non solo la produzione Usa (la rivoluzione dello shale oil che ha registrato una produzione in soli tre anni di 3,5 milioni di barili al giorno), scesa solo di 300 mila barili al giorno a 9,3 milioni di barili, ma anche il surplus di offerta dell'Opec.

La decisione del cartello dei principali Paesi produttori, nel meeting di novembre 2014, di perseguire una politica di espansione di quota di mercato, si è tradotta infatti in una crescita record, con l’Arabia Saudita e l’Iraq schizzati ai massimi storici. In questo contesto, il possibile rientro del greggio iraniano, dopo l’accordo di luglio scorso, ha costituito un ulteriore fattore downside per il mercato. Nel corso dell'estate di quest'anno, poi, hanno fatto capolino sui mercati finanziari anche la bolla della Borsa di Shanghai e i timori di una frenata della locomotiva cinese. Variabili che hanno alimentato le incertezze, con il risultato di innescare una massiccia uscita dalle posizioni tenute dagli operatori finanziari sulla commodity oil e ulteriori pressioni al ribasso sui prezzi del barile. Ad agosto, quindi, si è verificato il crollo dei prezzi ai minimi dell’anno. Un'oscillazione molto violenta (vedi tabella sopra).

Al netto di un possibile ridimensionamento della domanda cinese, di oversupply (con il rientro dell'Iran e dell'eventuale recupero dei volumi libici) e di rischi geopolitici che scenari di prezzo così bassi non fanno che accentuare, gli analisti descrivono un mercato fisico comunque in cammino verso un lento riequilibrio. Riequilibrio che maturerà nel medio termine, quando il taglio degli investimenti upstream (circa 200 miliardi di dollari già annunciati) e la discesa della produzione Usa (messa fuori gioco dal basso prezzo del barile e dall'aggressiva strategia dell'Opec), si tradurranno in una minore crescita dell'offerta futura.

Il motivo? Semplice. Sul primo fronte, le recenti strategie disegnate dalle big oil company nella nuova era del petrolio hanno dovuto prendere atto del disincentivo ad investire (investimenti dall'elevata complessità tecnica divenuti ora, a maggior ragione, difficili da sostenere) fronteggiando la difficile situazione di mercato attraverso una obbligata cancellazione o un rinvio (per le più onerose) delle nuove iniziative produttive e una consistente sforbiciata ai costi.

(Segue...)