Economia
"Pil, il terrore non ha ancora bloccato l'Europa". Parla Dembik, economista (macro) di Saxo Bank
di Andrea Deugeni
@andreadeugeni
"Gli impatti degli attentati sull'economia europea? Per il momento non ne vedo, anche perché gli eventi terroristici devono essere ripetuti nel tempo per riuscire ad intaccare il livello di fiducia delle imprese e dei consumatori europei. E, allo stato attuale, come fu per le esplosioni sui treni in Spagna o per la metropolitana di Londra, gli attacchi di Parigi sono degli eventi spot che non hanno ancora cambiato radicalmente la vita delle persone. Quindi non vedo stravolgimenti per la crescita del Pil nei prossimi trimestri". E' fiducioso Christopher Dembik (nella foto in altro), economista (macro) di Saxo Bank intervistato da Affaritaliani.it sullo stato di salute dell'economia dell'eurozona e, in particolare di Italia e Francia. Paesi del Sud Europa, caratterizzati da dinamiche simili, secondo l'esperto, per quanto riguarda la struttura della loro economia.
"Non dimentichiamoci poi che gli attentati e le fasi di pericolo per la sicurezza pubblica", spiega in aggiunta Dembik, "innescano anche degli effetti espansivi: portano in dote un aumento dei budget della Difesa e della spesa pubblica per le operazioni di polizia e militari. Flussi di risorse che fanno crescere il Pil". Per l'economista, l'eventuale effetto recessivo che potrebbe verificarsi sul turismo e sugli spostamenti dei cittadini ("la gente continua a muoversi", sottolinea) sarà comunque neutralizzato dal "grosso driver dell'economia europea che in questo momento e nei prossimi mesi continuerà ad essere la politica monetaria accomodante della Banca Centrale Europea". Una politica che, nelle view del team di economisti della banca danese specializzata sul trading online, spingerà nel 2016 l'euro ampiamente sotto la parità con il dollaro fino a raggiungere un cambio dello 0,95 (usd) nella seconda metà del prossimo anno (1,15 quello con il franco svizzero). Una condizione di grazia, assieme al petrolio (Wti) che viaggerà ancora basso (grazie a un incremento della domanda combinato a una contrazione dell'offerta) sui 52 dollari quest'anno, a 60 il prossimo e a 70 nel 2017 (ben lontano dai 110 di metà 2014), per le ancora deboli economie del Sud Europa (vedi tabella sotto).
"Il grande tema è la volatilità dell'euro, perché la moneta unica è un fattore molto positivo per alcuni Paesi come l'Italia e la Francia: permette loro di essere competitivi più a lungo", spiega infatti Dembik, ma "il loro grande problema è la scarsa competitività dei propri prodotti. Sono Paesi, soprattutto l'Italia, incapaci di guadagnare progressivamente terreno sui mercati. Si giovano di un forte indebolimento dell'euro, ma non colgono le grandi occasioni di una moneta unica che continua a deprezzarsi". Come? "Implementando la qualità delle proprie merci, che è il fattore chiave".
"Italia e Francia", prosegue l'esperto, "non vogliono migliorare le proprie economie e così chiedono alla Banca centrale europea di fare il grosso del lavoro per spingere e risollevare la congiuntura, aumentando i posti di lavoro, senza assumersi l'onere però di mettere in cantiere misure impopolari". E per quanto riguarda le stime di crescita per il prossimo anno? "Credo che la view della Commissione europea per la crescita del Pil dell'Eurozona nel 2016 sia troppo ottimistica e il reddito non crescerà a sufficienza per riassorbire il tasso di disoccupazione, che al momento è il grande problema nel Vecchio Continente", spiega Dembik. C'è un rischio Italia? "No, tutti i bond governativi europei, compresi quelli portoghesi, sono abbastanza sicuri e per il vostro Paese il grande dubbio è che possa rispettare il limite del 3% nel parametro Ue del deficit/Pil", conclude.