Economia
Primo Osservatorio Cerved-Fondazione Bellisario 2020: quota rosa nelle aziende
Osservatorio Cerved-Fondazione Bellisario insieme a Inps: dopo l’exploit dovuto alla legge Golfo-Mosca anche nelle società quotate la crescita si è fermata
Il Primo Osservatorio Cerved-Fondazione Bellisario 2020 sulla presenza femminile nelle aziende viene presentato oggi: emergono dati di gap considerevoli nelle posizioni principali e a più alto reddito, gli Amministratori Delegato donna sono appena l’8,4%
Dopo il forte aumento seguito alla piena attuazione della legge 120/2011 sulle quote di genere, che ha portato per la prima volta nel 2017 il numero delle donne nei board delle società quotate a essere maggiore di un terzo rispetto al totale dei membri, nel 2019 la crescita ha subito un rallentamento, mostrando solo due unità in più rispetto al 2018. Il bilancio è comunque più che positivo, con un incremento delle donne nei CdA delle società quotate alla Borsa di Milano da 170 nel 2008, il 5,9%, alle 811 di oggi, il 36,3%, mentre nei collegi sindacali si è passati dal 13,4% del 2012 al 41,6% del 2019, con 475 sindaci donne. È una delle evidenze messe in luce dal primo Rapporto Cerved-Fondazione Marisa Bellisario 2020 sulle donne ai vertici delle imprese, realizzato in collaborazione con l’Inps, che analizza l’impatto sulle aziende italiane della legge Golfo-Mosca anche rispetto ad altre dimensioni del gender gap. Il Rapporto viene presentato oggi alle 17 al Senato con l’intervento iniziale della Presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati e la partecipazione di Lella Golfo, Presidente della Fondazione Marisa Bellisario, Andrea Mignanelli, Amministratore Delegato Cerved, Maria Bianca Farina, Presidente Poste Italiane, Luigi Gubitosi, Amministratore Delegato Telecom Italia, Beatrice Coletti, Consigliere di amministrazione Rai e Anna Genovese, Commissario Consob, con la moderazione di Maria Latella.
“I dati dimostrano che l’applicazione delle norme ha permesso un salto in avanti nella presenza di donne nei board delle quotate e delle controllate che altrimenti non ci sarebbe stato, ma purtroppo non ha ancora promosso cambiamenti profondi nel nostro sistema economico”, commenta Andrea Mignanelli, Amministratore Delegato di Cerved. Sono poche infatti le società quotate andate oltre il minimo imposto dagli obblighi di legge e sono mosche bianche le donne che occupano le posizioni più alte: 14 gli Amministratori Delegati donna (6,3%) e 24 i Presidenti (10,7%). Nei collegi sindacali, il ruolo di Presidente è ricoperto da 49 donne, pari al 22% di tutte le società quotate. “L’analisi che incrocia i nostri dati con quelli di Inps – prosegue Mignanelli - indica che le quote non sono state sufficienti a riequilibrare la presenza di donne nelle posizioni di vertice e a più alto reddito, né a ridurre i divari salariali”.
Interviene: Maria Elisabetta Alberti Casellati, Presidente del Senato della Repubblica
Maria Elisabetta Aliberti Casellati, Presidente del Senato, durante il convegno ‘Leadership femminile: un’impresa possibile?’ ad Affaritaliani.it: “Studi ci dicono questo: la dove si sono donne nei posti di governo, nelle imprese, il fatturato aumenta del più del 20%, che le donne comunque hanno una preparazione superiore a quella degli uomini. Dopodiché c’è ancora una sorta di resistenza culturale nei confronti delle donne e un mercato del lavoro davvero disomogeneo, e allora qualcosa non torna in questo, perché se da un lato aumentano il fatturato, non si capisce perché ancora ci sia questo pregiudizio di carattere culturale. Addirittura, una cosa indegna è il fatto che la differenza salariale è pari al 18% e questa a mio parere è una vera e propria violenza di genere perché è contro la dignità delle lavoratrici. Occorre che ci sia una politica d’ampio raggio che faciliti l’accesso delle donne, la loro formazione, che valorizzi il loro talento, ma anche che tenga conto di tutte quelle donne, anche madri, che hanno la difficoltà di immettersi nel mercato del lavoro perché ancora non si riesce a trovare un punto di equilibrio tra quella che è la vita lavorativa e la vita familiare. È un invito a fare di più per aiutare questo mondo femminile che può dare tanto nel campo del lavoro come nella società”.
Interviene: Lella Golfo, Presidente della Fondazione Marisa Bellisario
“La legge che mi onoro di aver portato all’approvazione nel 2012 ha prodotto risultati straordinari, tanto che il Parlamento ha deciso di reiterarla alzando l’asticella al 40%”, aggiunge la Presidente della Fondazione Marisa Bellisario, Lella Golfo. “Detto questo, è certamente il momento di andare oltre e avanti, perché le quote sono solo uno strumento – utile certamente e necessario sicuramente – per raggiungere l’obiettivo di una parità reale e sostanziale a tutti i livelli. Il Rapporto promosso con Cerved, in collaborazione con l’Inps, ha il merito di indicarci quali sono gli ambiti di intervento per far sì che il primato europeo sul fronte delle donne ai vertici, raggiunto grazie alla legge, possa estendersi anche a fronti su cui l’Italia continua a mostrare ritardi consistenti, come l’occupazione femminile e le politiche di welfare. E una delle prime e più importanti evidenze è che servono più donne nei ruoli esecutivi, in grado di incidere realmente sulle politiche e sulle strategie aziendali, ma anche di creare role model e di dirigere il cambiamento verso condizioni di parità e quindi sostenibilità del sistema Italia”.
“Dalla ricerca è emersa una cosa che mi ha reso molto felice: la legge sulla quota di genere che dal 2002, attuata in questo Paese, le donne consigliere aumentano. Noi siamo partiti con 177 donne e oggi ne abbiamo 811, mentre tra i revisori contabili ne abbiamo altre 475, che sommati sono 1286. Mi sembra un numero assolutamente stupendo, l’unico problema è che ne dovremmo averne altrettante dove si decide l’economia e la politica. Rallentamenti negli ultimi anni? Si, ci sono stati, ma legati soprattutto alle aziende private, alle partecipate dello stato. Bisogna lavorare, noi oggi vogliamo proprio presentare questi dati e chiedere al governo un cambio di passo, perché adesso ci sono decine e decine di rinnovi di aziende e ci auguriamo che il governo pensi anche alle donne.” Così aggiunge per Affaritaliani.it Lella Golfo, Presidente della Fondazione Marisa Bellisario, a margine del convegno ‘Leadership femminile: un’impresa possibile?’ Tenutosi in sala Koch al Senato.
L’Italia è il 76° Paese per disparità di genere sui 149 censiti dal World Economic Forum
Secondo l’indice costruito dal World Economic Forum, l’Italia è il 76° Paese per disparità di genere sui 149 censiti, agli ultimi posti tra gli Stati più avanzati. Rispetto al 2006 ha guadagnato una posizione grazie all’introduzione delle quote di genere nella composizione delle liste elettorali, ma negli altri ambiti ha evidenziato chiari peggioramenti: ad esempio, per quanto riguarda le opportunità economiche è scivolato al 117° posto, con performance particolarmente negative in termini di parità salariale
In Italia è occupato il 56,2% delle donne tra i 15 e 64 anni contro il 75,1% degli uomini, una percentuale che risulta tra le più basse all’interno dei 37 Paesi censiti da Eurostat. Peggio di noi, solo Macedonia e Turchia. Un gap che si riduce ma non si annulla con il diminuire delle fasce di età, dunque non dipende da ragioni generazionali. Dei 10 milioni di donne occupate, il 54,2% è al Nord, il 23,3% al Sud e il 22,5% al Centro.
Quanto al profilo professionale, i dati Istat chiariscono bene il divario di genere: tra i quadri la percentuale di donne è del 45%, mentre precipita al 31,9% tra i dirigenti. Anche il gender gap salariale in Italia continua a essere molto elevato: in base ai dati di Job Pricing, la disparità di retribuzioni tra uomini e donne è in media del 10,2% e risulta maggiore nelle mansioni di impiegato (-9,6%) e operaio (-10,6%), si assottiglia per i quadri (-4,3%) per poi ritornare alto tra i dirigenti (-9%).
Interviene Maria Bianca Farina, Presidente di Poste Italiane
“Ci vuole molta perseveranza e determinazione. Sulla leadership femminile c’è ancora molto da fare, non è un percorso compiuto, secondo me ci sono molti ostacoli sociali e culturali. Non è un caso che se si va a vedere chi fa il part-time il 70% è donna, perché le donne hanno difficoltà a conciliare lavoro e famiglia, molto del problema sta lì. Il tema è complesso, i motivi sono tanti, bisogna agire sul fronte delle norme che agevolino anche questa conciliazione lavoro-famiglia, agevolare anche il fatto che le donne vadano di più verso facoltà scientifiche, che oggi sono quelle più richieste. Noi dobbiamo non smettere di fare battaglia, il percorso è crescente quindi dobbiamo essere fiduciose. Bisogna capire bene quali sono i canali che abilitano questa possibilità, non basta la legge che ti impone queste quote.” A dirlo Maria Bianca Farina, Presidente di Poste Italiane, parlando a margine del convegno ‘Leadership femminile: un’impresa possibile?’ ad Affaritaliani.it.
La presenza femminile nelle società quotate e a controllo pubblico, soggette alla legge Golfo-Mosca
Tornando alla presenza femminile negli organi amministrativi e di controllo delle società quotate, risulta più giovane degli omologhi maschi: nei CdA, l’età media delle donne tra gli Amministratori è di 53 anni (59 gli uomini), tra gli Amministratori Delegati 55 (57 gli uomini), tra i Presidenti 60 (contro 63). Situazione analoga nei collegi sindacali, in cui le donne hanno mediamente 52 anni contro i 57 degli uomini (54 contro 58 se sono Presidenti). Inoltre, le donne presenti nei board hanno più frequentemente cariche in altre società quotate: il 21,7% ne possiede almeno un’altra (l’11% tra gli uomini), probabilmente perché sono poche quelle a poter vantare un’esperienza in un CdA. In termini assoluti, sono 88 le donne che siedono almeno in un altro board (il 13,8% contro l’8,8% degli uomini).
Passando alle società a controllo pubblico, secondo i dati che Cerved elabora per il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal 2014 al 2019, cioè dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 251/2012, la presenza delle donne nei Consigli d’amministrazione e nei collegi sindacali è aumentato di quasi 3.000 unità (da 2.180 a quasi 5.000) passando dal 14,3% al 32,5%, ma senza superare la quota di un terzo. Nello stesso periodo, gli uomini ai vertici degli organi collegiali sono scesi da 19.000 a 10.000.
È fortemente aumentato (da 1.153 nel 2014 a 1.533 nel 2019) anche il numero di controllate pubbliche con Amministratore unico, che non hanno obblighi di parità di genere: le donne che ricoprono la carica di Amministratori sono ugualmente cresciute, ma non certo con lo stesso ritmo, passando da 103 a 193 negli ultimi due anni, cioè dall’8,5% ad appena il 12,6%.
I dati territoriali indicano un’ampia variabilità nella presenza di donne nei board delle quotate pubbliche, con quote che vanno dal 36,5% in Umbria al 9,5% in Basilicata. Più in generale, le regioni del Sud, e in particolare Campania, Sicilia, Calabria e Basilicata, sono ancora molto lontane dalla soglia minima, anche se ovunque, tranne Basilicata e Calabria, è aumentata la quota di donne rispetto al 2014.
Nelle grandi aziende non obbligate, più donne nel board, ma ancora pochi Amministratori Delegati
Nella grande maggioranza delle imprese, dove non ci sono norme specifiche sulla parità di genere, la presenza femminile nei Consigli d’amministrazione cresce lentamente e riflette il ricambio generazionale. La percentuale aumenta nelle società con Amministratore unico (dal 10,8% al 12,7% tra 2012 e 2019) e in quelle che hanno un board collegiale (dal 14,4% al 17,9%), ma rimane ben al di sotto della soglia di un terzo. La presenza di donne tra gli Amministratori cresce al diminuire della fascia di età considerata: 13% tra chi ha più di 55 anni, 18% nella fascia 45-54 anni, 22% in quella 35-44 anni, fino al 27% per gli under 35.
Solo nelle imprese di maggiori dimensioni, che partivano da una presenza femminile significativamente più bassa e ora mostrano l’incremento più consistente, le norme sulle società quotate potrebbero aver prodotto effetti indiretti: tra 2008 e 2019, la quota femminile nei CdA è infatti passata dall’8,7% al 16,5% nelle società che fatturano più di 200 milioni di euro. Tuttavia, questo non si è tradotto in un maggior numero di donne che ricoprono il ruolo di AD: appena l’8,4%, contro una media del 16,6%.
Solo il 31,5% delle società non quotate ha almeno un terzo di donne nel proprio CdA, percentuale che sale al 33,9% tra le società minori (10-50 milioni) e scende al 27,7% tra quelle con ricavi compresi tra 50 e 200 milioni e al 27,1% tra quelle oltre 200 milioni. Ancora nel 2019, oltre la metà delle aziende con ricavi superiori ai 10 milioni di euro e un CdA di almeno due membri, ha nel board solo uomini.
Un più equa rappresentanza di donne nei CdA non basta da sola a ridurre i differenziali di genere
Per valutare tutte le ricadute dell’entrata in vigore della legge Golfo-Mosca, sono stati confrontati gli effetti sulle lavoratrici delle società quotate con quelli relativi alle lavoratrici di un campione gemello di società non quotate, incrociando i dati Cerved con quelli VisitInps. Ne sono risultati due gruppi omogenei di 153 e 149 imprese, molto simili in termini di dimensione, settori di attività e variabili economico-finanziarie.
Solo il gruppo delle quotate ha aumentato la percentuale di donne nei Cda, per effetto delle nuove norme. Tuttavia, questo non ha prodotto “effetti a cascata” nelle quotate: a partire dal 2012 si è cominciato a registrare un incremento di donne nelle posizioni manageriali di entrambi i gruppi, pur rimanendo su cifre basse (dal 10 al 13-15% nel 2016). La quota di donne tra gli addetti più pagati risultata in lieve crescita (dal 17% del 2008 al 21% del 2016), ma rimane bassa e non ha fatto registrare scatti nelle aziende con le quote rosa. Anche la presenza femminile tra i dipendenti è aumentata (dal 2008 al 2016, è passata dal 36,2% al 38,6% tra le quotate), ma con un andamento simile si è registrato tra le non quotate.
Dunque, le “quote” non hanno favorito la presenza femminile né tra le posizioni apicali delle aziende né tra le occupazioni a più elevato reddito: una più equa rappresentanza di donne nei CdA dell’imprese è sicuramente desiderabile, ma da sola non è sufficiente a ridurre i differenziali di genere.