Economia
"Salario minimo, serve una direttiva Ue". Camusso (Cgil) ad Affaritaliani
"La Confindustria sbaglia a contrastarla"
In Europa un lavoratore su dieci è povero, perché guadagna meno di 9 euro l’ora e lavora troppo poco, mentre le aziende delocalizzano per giocare sul dumping salariale. Una vecchia storia, aggravata dalla pandemia, per questo la Ue sta tentando la carta di una direttiva per la convergenza sul salario minimo garantito. Per la leghista Elena Liuzzi, in Commissione lavoro a Bruxelles, si apre il confronto il 3 giugno, ma il testo non è maturo ed è scettica, visti i 918 emendamenti presentati. Su questo tema per Affaritaliani abbiamo intervistato la sindacalista Susanna Camusso, CGIL.
Il ministro Luigi Di Maio lo aveva ribadito lunedì: la direttiva in ogni paese UE chiederà il parametro della soglia minima di povertà, per far convergere verso l’alto i salari minimi senza modificare le norme già esistenti in ben 21 su 27 Paesi membri. Un beneficio anche per le imprese contro il dumping salariale, sleale per tutti, lei cosa ne pensa?
Nella Confederazione Europea dei sindacati, come Cgil, abbiamo sostenuto la proposta di una direttiva proprio per questi motivi. Per noi la direttiva ha un impianto positivo perchè non si limita al salario minimo, ma sostiene la contrattazione collettiva, infatti il dumping si esercita sia sui salari, sia sui diritti e le condizioni di lavoro.
Altra questione dibattuta e risolta ieri dallo stralcio, ottenuto dai sindacati, del minimo ribasso nelle gare d’appalto. Questo c’entra con la direttiva, è soddisfatta?
Sì, anche la norma proposta dalla direttiva presentata dalla Commissione europea pone infatti un vincolo sugli appalti: il rispetto della contrattazione e dei salari minimi dove sono istituiti Lo ripeto, il massimo ribasso è una norma barbara e andranno viste bene le altre formule proposte. I ribassi sono sempre costruiti sui salari ed i diritti per questo insistiamo per il riferimento non solo ai minimi contrattuali (che sono per noi in Italia i minimi salariali), ma all’insieme delle condizioni di lavoro.
Lei è d’accordo con l’eurodeputata Elisabetta Gualmini quando afferma che la svolta sociale della UE, in passato, era stata ostacolata dalla Gran Bretagna?
Si, è vero. Fermo restando il giudizio negativo sulla Brexit.
L’Eurostat ci dice che in nove anni i lavoratori poveri sono aumentati in Gran Bretagna ed in Estonia. L’Italia è salvata dalla contrattazione collettiva e dai sindacati?
Non c’è dubbio che la contrattazione collettiva e la rappresentanza sindacale ha meglio difeso il lavoro, questo non toglie che vi sono settori dove è negata e dove si contrabbanda per autonomo il lavoro subordinato. Non c’ è dubbio che serva anche una direttiva europea sui lavoratori delle piattaforme, ed, in Italia, la legge sulla rappresentanza e l’erga omnes.
La Confindustria segnala che la direttiva sul salario minimo in Europa apre più problemi di quanti ne risolva: i paesi dell’Est, ad esempio, non le rispetteranno, non le vogliono. Tanto vale cambiare strada e puntare tutto sulle politiche attive?
Penso che Confindustria sbagli a contrastare la direttiva europea: con buone regole e con la contrattazione, invece, si sgombera la concorrenza dalle pratiche sleali. I fatti ci dicono che in molti paesi, come in Croazia, le associazioni di impresa negano la contrattazione o cercano di cancellarla.