Economia
Smart working, De Masi: "Brunetta lo riduce a telelavoro"
Parla con Affari il sociologo Domenico De Masi: "Le ricerche dimostrano che il lavoro agile aumenta la produttività. L’opposto di quanto sostiene il ministro"
L’estensione del Green pass a tutti i lavoratori sia pubblici che privati è un altro passo nella direzione auspicata dal ministro per la Pa Renato Brunetta e cioè il lavoro in presenza. L’altra gamba del piano, come ha scritto Affaritaliani.it, sarà al centro della discussione il prossimo 22 settembre con sindacati in vista del rinnovo del contratto per le Funzioni centrali: si tratta della regolamentazione dello smart working. Tuttavia, proprio su questo fronte arriva l’alt del sociologo del Lavoro Domenico De Masi. “Ma quale smart working - dice subito intervistato dal nostro giornale -. La bozza in circolazione, nel migliore dei casi, riduce il lavoro agile a telelavoro”.
PA: Brunetta, tra un mese arriva contratto lavoro da remoto Lo smart working applicato ai lavoratori del pubblico impiego, "fu certamente una idea intelligente e coraggiosa, solo che e' stata fatta all'italiana senza un contratto di lavoro, senza organizzazione del lavoro, senza tecnologia". "Ma all'idea di far diventare un modello all'italiana un modello per il futuro ho detto di no - ha poi aggiunto intervistato al festival dell'Innovazione del Foglio in corso a Venezia - ma finalmente tra un mese per la prima volta in Italia ci sara' un vero contratto per il lavoro agile, per la parte normativa, che e' l'Abc delle nuove relazioni lavorative". |
Professore, il ministro Brunetta però ritiene che con il lavoro in presenza la produttività aumenterà. In una intervista al Corsera sostiene che “il Pil crescerà anche più del 6 per cento”.
Tutte le ricerche dimostrano invece che con smart working aumenta la produttività e che ritornando in ufficio non cresce, ma diminuisce. L’esatto contrario di quello che afferma Brunetta. Si badi bene: non lo dico io, ma gli studi. Hanno fatto ricerche la Telecom, il Credito italiano, la Regione Lombardia, per fare qualche esempio. Io ne ho rintracciate una quarantina.
Non crede, quindi, che passata la fase emergenziale, in cui lo smart working è stata una sperimentazione necessaria, occorra tornare alla “normalità”?
Innanzitutto bisogna dire che lo smart working sta continuando ancora. E soprattutto che non si è trattato di un esperimento di una settimana. Sono 19 mesi che va avanti. Tralasciando la prima fase in cui a causa del lockdown era una sorta di lavoro coatto, poi con il subentrare delle zone gialle e bianche è diventato smart working a tutti gli effetti. E’ stato vero e proprio lavoro agile.
Secondo Brunetta avere tutto il capitale umano a disposizione è importante anche per realizzare i progetti del Pnrr.
Ma cosa c’entra con lo smart working? Il Pnrr è tirato in ballo in maniera pretestuosa. E’ certo che i progetti vanno fatti bene, ma con tutti i mezzi a disposizione. E il lavoro agile è uno di questi. Senza contare, poi, che è assurdo che il Piano contempli 50 miliardi per la digitalizzazione se poi i dipendenti pubblici devono stare tutti in ufficio.
Comunque si va verso il ritorno al lavoro in sede. Questa è la direzione di marcia. Cosa non la convince?
In questi 19 mesi bisognava fare delle analisi e Brunetta è al Governo da sette. Per prima cosa sarebbe stato necessario capire dei 3 milioni 200 mila lavoratori della Pa quanti possono svolgere lavoro agile completo, quanti solo in parte e quanti no. Un’altra cosa da verificare erano la presenza e le potenzialità delle connessioni. Sono due parametri che dovevano essere accertati subito e in un paio di mesi si poteva fare. Solo dopo si può parlare con cognizione di causa. Ecco perché il ministro parla a vanvera. C’è da dire un’altra cosa, però.
Quale?
A dire la verità il precedente ministro aveva iniziato questo lavoro. Ma Fabiana Dadone è giovane, donna e digitale, mentre Brunetta è più anziano, maschio ed è analogico.
Il tetto per il lavoro agile fissato al 15 per cento è troppo basso?
Il tetto al 15 per cento non significa nulla proprio perché non abbiamo analisi e dati. E’ chiaro che nel caso di organizzazioni che hanno più operai, queste possono utilizzare meno la modalità di lavoro agile, ma nella Pa, che è costituita quasi solo da impiegati, funzionari e manager, è probabile che la percentuale di persone che può lavorare in smart working sia molto alta. Ecco perché occorrono delle analisi puntuali prima di parlare.
Intanto, la settimana prossima i sindacati discuteranno la bozza di regolamentazione dello smart working. Lei che idea se n’è fatto?
Questa è una bozza che riporta lo smart working a livello di telelavoro. Non esistono fasce nel lavoro agile. Una volta che il lavoratore ha l’obiettivo da raggiungere può anche decidere di lavorare di notte o all’alba. L’importante è il risultato. La ministra Dadone, nel novembre scorso, creò un Osservatorio nazionale del lavoro agile nella Pa ed una commissione tecnica composta da diversi esperti proprio con il compito di analizzare preventivamente tutti i progetti del Ministero. Questa bozza ha iniziato a circolare senza essere sottoposta prima al parere, seppure non vincolante, della commissione.
Lei lo sa perché ne fa parte, giusto?
Proprio così. Brunetta non ha eliminato l’Osservatorio e la commissione, ma di fatto è così. Le dirò di più: proprio perché io ho fatto presente tutto ciò, lunedì la commissione è stata convocata.
Esprimerà dunque queste critiche nel corso della riunione?
Certo che sì. Se vogliamo che aumenti la produttività della pubblica amministrazione dobbiamo tenere lontano dagli uffici tutti coloro che possono lavorare in smart working. Questa è la verità, il contrario di quello che sostiene Brunetta.