Economia

Stipendi PA, 30 mila euro annui negli enti locali. Super-pagati alle authority

di Santo Fabiano

Quanto guadagna chi “firma” e chi “ferma”

Mentre siamo tutti sommersi dai buoni propositi per la semplificazione e lo snellimento nella pubblica amministrazione e il ministro Renato Brunetta afferma che il problema riguarda l'“organizzazione delle risorse umane” e la digitalizzazione, il Sole 24 Ore pubblica un dato che tutti temevamo di avere intuito, ma senza la forza dei numeri. Il dato riguarda gli stipendi delle Pubbliche Amministrazioni.

Dalle banche dati dell’ARAN, l’agenzia nazionale che rappresenta le pubblica amministrazione nelle relazioni con il sindacato, risulta che gli stipendi più bassi sono percepiti dai dipendenti delle Regioni e degli Enti locali (Comuni e Province), mente quelli più alti, oltre tre volte di più, sono quelli percepiti dai dipendenti delle Autorità indipendenti. I primi arrivano a una media di 30.000,00 euro lordi annui, mentre i secondi superano i 90.000,00 annui.

Il dato è ancora più grave se gli stipendi dei dipendenti comunali e provinciali si separano da quelli dei dipendenti regionali, poiché, in alcune regioni, soprattutto nei livelli più alti, i dipendenti riescono a ottenete compensi maggiori. Quindi alzano il dato medio che se riferito ai Comuni e alle Provincie sarebbe più basso.

Ebbene, poiché l’articolo 118 della nostra Costituzione afferma che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni” e che “i Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale”, viene da chiedersi come mai chi sta “in prima linea”, a contatto con i cittadini e assicura il funzionamento della pubblica amministrazione, assumendo la responsabilità diretta delle proprie azioni, debba essere remunerato molto meno rispetto a chi, invece, svolge una funzione di indirizzo e coordinamento, senza alcuna responsabilità. E per questa funzione, lontana dai bisogni reali del Paese, percepisce fino a tre volte di più, in media, quindi di più in valore assoluto.

Non serve un grande esperto e nemmeno un luminare per comprendere che se in un processo di lavoro si premia chi controlla, senza alcuna responsabilità, più di chi produce e risponde di ciò che fa, inevitabilmente si ottiene un sistema fine a se stesso, schiacciato dagli adempimenti e lontano da ogni logica di efficienza ed efficacia.

È come quella vecchia barzelletta di quell’equipaggio di canottieri che non riusciva a vincere e dopo avere chiesto la soluzione a una società di consulenza, si decide di sostituire tre componenti dell’equipaggio con un esperto di rotte, un esperto di risorse umane galleggianti e un coordinatore per pianificare le attività dell’equipaggio.

Alla fine della gara quella squadra perde miseramente, ma la colpa viene attribuita all’unico canottiere che remava, poichè il compito degli altri era solo di progettazione e coordinamento. I primi tre, quindi, hanno raggiunto l’obiettivo e sono ampiamente remunerati, anche in ragione della loro provenienza autorevole. L’ultimo, invece, quello che è ha faticato da solo, viene privato di ogni compenso perché non ha raggiunto l’obiettivo. E magari punito.

Credo che l’esempio renda in pieno la situazione della nostra pubblica amministrazione dove chi lavora, si espone e firma, viene compensato in modo appena decente e sottoposto a costanti controlli e valutazioni, mentre chi decide piani, rotte e coordina o sanziona e “appesantisce” l’equipaggio e il processo, viene premiato e ottiene persino alte considerazioni.

Vogliamo fare una vera rivoluzione organizzativa? Cominciamo da qui: paghiamo “chi firma” più di “chi ferma” o comunque distribuiamo tra questi la responsabilità sul risultato conseguito.