Economia
Telecom, quattro attori nella partita. Silvio alla finestra con Mediaset
Come andrà a finire la (ennesima) partita su Telecom Italia? Difficile dirlo, ma, mentre la conversione delle azioni risparmio in ordinarie ha raffredato un po' l'aria di M&A (e diluito le posizioni nel capitale dei principali azionisti) sul colosso telefonico guidato da Marco Patuano, si possono immaginare le mosse che potrebbe fare ciascuno dei quattro attori centrali della vicenda in base all’evoluzione della vicenda Tim Brasil. Mosse che acquistano rilevanza se si considera che nelle ultime ore circola negli ambienti finanziari il rumors che su Telecom potrebbe scoppiare nel medio lungo periodo una guerra in stile Impregilo con un attore importante dei contenuti italiani come la Mediaset della famiglia Berlusconi pronta a guidare assieme a Bollorè il nuovo campione dell'enterteinment che potrebbe nascere da una fusione Vivendì-Mediaset con piattaforma distributiva (forte n Italia e in Sudamerica) Telecom.
Ma andiamo con ordine. Il primo attorno è il tycoon dei media francesi Xavier Niel (genero di Bernard Arnault, il patron di Lvmh, e tra gli azionisti di Le Monde), che in questi giorni ha precisato di non aver il 15,1% di Telecom Italia in portafoglio e neppure i relativi diritti di voto, ma “solo”opzioni d’acquisto sugli stessi, dunque una partecipazione “virtuale”, che però potrebbe trasformarsi in “concreta” nell’arco di un solo giorno nel caso venga esercitata la prima di tali opzioni, su un pacchetto di poco superiore al 5,1%. Una soglia importante perché chiunque abbia almeno un 5% di capitale potrebbe “chiamare” un’assemblea straordinaria e provare a cambiare la composizione del Cda.
E’ un’ipotesi realistica? Al momento non eccessivamente. Niel per il momento avrebbe sborsato poco più di 300 milioni di euro per arrivare alla “posizione lunga” sul 15,1% di Telecom Italia, rispetto ad un controvalore sottostante di circa 3,3 miliardi di euro. Se da qui a qualche mese Tim Brasil dovesse essere ceduta a Oi, quarto operatore brasiliano che il cui debito ammonta a 8,9 miliardi di dollari ma nel quale il miliardario russo Mikhail Fridman (che attraverso Vimpelcom già controlla, in Italia, il gruppo Wind, in procinto di fondersi con 3 Italia) potrebbe iniettare fino a 4 miliardi di dollari tramite il fondo LetterOne, Niel potrebbe esercitare le opzioni, intascare la sua parte di maxidividendo e chiudere l’operazione ad esempio esercitando subito dopo altrettanto opzioni di vendita.
Ma quanto potrebbe guadagnare? Lo scorso anno si disse che l’ex monopolista telefonico italiano fosse disponibile a cedere Tim Brasil per non meno 10-10,5 miliardi di euro, ossia circa 8 volte l’Ebitda 2016 atteso. Anche se ai soci non venisse retrocesso il 100% dei proventi dell’operazione ma solo i due terzi della cifra, i soldi potrebbero essere sufficienti a far abbandonare la partita, con un cospicuo guadagno, anche a Vivendi, società francese che fa capo a Vincent Bolloré, attualmente al 20,1% di Telecom Italia. La differenza tra Niel e Bolloré (secondo socio di Mediobanca col 7,94% di capitale) è che Niel intascherebbe attorno al miliardo di euro, pari ad una remunerazione del capitale effettivamente impegnato del 300%, mentre Bolloré, che in Telecom Italia è entrato a seguito di uno scambio di asset con Telefonica (cui cedette la brasiliana Gvt in cambio dell’8,24% del gruppo italiano), otterrebbe 1,4 miliardi pari a meno del 50% di rendimento rispetto agli oltre 3 miliardi investiti per acquistare sul mercato, in tranche successive, dell’ulteriore 11,7% di Telecom Italia. Ma se Niel dovesse invece passare la mano, ad esempio girando i titoli ad Orange (l’ex France Telecom)?
Se il “prenditore finale” dovesse poi arrivare a controllare, direttamente o in accordo con altri soggetti, oltre il 25% di Telecom Italia scatterebbe l’obbligo di Opa totalitaria, ma l’evento non pare probabile, anche perché lo stato italiano dispone ancora della “golden power” e potrebbe bloccare operazioni di finanza straordinaria come aumenti di capitale, trasferimento del controllo o cessione di asset che non fossero gradite. Questa ipotesi avrebbe tuttavia una forte valenza “politica” e come tale andrebbe inquadrata nell’ottica più ampia dei rapporti tra Roma e Parigi, che nel tempo visto sia delle cessioni di asset italiani a gruppi francesi (come per Edison o Bnl) sia alcuni nulla di fatto (come nel caso Alitalia e, per il momento, di Mps).
L’ipotesi di un utilizzo della “golden power” rischierebbe peraltro di scatenare una lunga battaglia legale in sede Ue, dove la discussione sui limiti all’effettivo utilizzo di simili opzioni da parte dei singoli non è ancora arrivata ad una conclusione. Ma lo stato italiano è anche più direttamente interessato all’evoluzione della vicenda poiché attraverso a CdP è impegnato a sviluppare un’infrastruttura “strategica” come la rete di nuove generazione a banda ultra larga. Per tale sviluppo Telecom Italia stessa ha programmato di investire 3 miliardi di euro entro il 2017, mentre in CdP, tramite Metroweb, potrebbe spendere 4,5 miliardi per cablare le 30 maggiori città italiane. Metroweb è controllata dal Fondo strategico italiano (Fsi, 80% CdP, 20% Banca d’Italia) e dal fondo F2i - I (in cui Cdp, Intesa Sanpaolo e Unicredit sono soci al 16,52%, Ardian, l’ex Axa Private Equity, ha il 9%, Inarcassa il 6,47%, Cassa Geometri il 5,95% e una serie di fondazioni bancarie a partire da Fondazione Crt e Fondazione San Paolo, hanno quote tra il 3,97% e l’1%).
Finora l’idea era che Metroweb avrebbe realizzato la rete, sfruttando Enel per quanto riguarda in particolare l’ultimo miglio, poi avrebbe conferito l’asset a Telecom Italia in cambio di una partecipazione attorno al 20%-25% tale da garantirne se non il controllo almeno la possibilità di indirizzarne la politica industriale in base agli interessi del paese, come già avvenuto con Terna e Snam (controllate al 30%). Ora però le trattative “non esclusive” con Vodafone Italia e Wind per valutare la realizzazione in comune della rete a banda ultra larga, aperte dopo un primo “nulla di fatto” con Telecom Italia, sono state prorogate fino a fine anno.
Si torna dunque all’ipotesi di una infrastruttura aperta a cui tutti gli operatori possano avere accesso e di cui tutti possano diventare soci con quote di minoranza? La decisione finale spetta a CdP e dunque al Tesoro (che la controlla all’80,1%, il resto essendo in mano a fondazioni bancarie). La Cdp a marchio Gallia-Costamagna, dopo la chiusura del dossier Rete, è tornata a bussare alla porta dell'incumbent e ora la vicenda banda ultralarga in un'unico condominio dipenderà da come tutti gli attori della vicenda Telecom Italia agiranno per tutelare i propri e non sempre coincidenti interessi e da quello che sarà il futuro di Tim Brasil.
Silente, ma in attesa che si chiariscano le posizioni di Niel e sfruttando i buoni agganci in terra italica, è la Vivendì di Vincent Bollorè che secondo alcuni, starebbe tessendo il suo piano di creazione di un campione europeo dei contenuti in grado di scalzare dal podio dell'enterteinment Rupert Murdoch, aggregando nell'avventura Mediaset di Silvio Berlusconi che dopo aver dato un futuro alla Mondadori (che ha aggregato Rcs Libri), vorrebbe sistemare le sorti della sua emittente guidata dal figlio Piersilvio. Berlusconi jr, dopo un matrimonio Vivendì-Mediaset, potrebbe mantenere un ruolo di vertice nella nuova media company. Fantafinanza? Se il governo riuscisse con la coppia Cdp-Enel mettere in sicurezza la dorsale della banda ultra-larga, c'è chi dice di no. Così facendo, con Berlusconi pronto a non mettere i bastoni fra le ruote a Renzi, il segretario del Pd potrebbe anche dare il suo disco verde alla liason (spesso tirata in ballo in Borsa) Mediaset-Telecom, garantendo un presidio italiano nell'ex Sip e senza lasciarla totalmente in mano francese. L'ennesimo boccone transalpino.