Economia
Tim, che cosa non torna nelle manifestazioni d’interesse di Cvc (o Bain o Apax)
Ancora una volta si assiste alla ridda delle speculazioni e dei rumor, con il titolo che cresce. Ma fino a quando?
Tim nel mirino del fondo Cvc, ma qualcosa non torna...
Da qualche giorno il titolo di Tim ha ritrovato un po’ di vigore, dopo che solo ad agosto valeva meno di 20 centesimi per azione. Ma l'euforia delle prime ore della mattinata si è trasformata rapidamente in un tiepido apprezzamento, con qualche "scivolata" in territorio negativo. Il motivo, come Affaritaliani.it aveva anticipato qui, è che ci sarebbe la manifestazione d’interesse di qualche fondo, Cvc in primis, per rilevare la quota di Tim detenuta dai francesi di Vivendi.
Una partecipazione del 23,75% che vale, ai cambi di oggi, 1,48 miliardi di euro. Poco, se si immagina che la quota venne rilevata per oltre 4 miliardi, con un valore di carico di oltre un euro per azione. Ma, si sa, il mondo delle telecomunicazioni non sta vivendo un momento facile, con i margini che si erodono sempre di più, le gare per il 5G che hanno drenato risorse e previsioni sempre più complesse.
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Vivendi poi non ha, per usare un eufemismo, un buon rapporto con il nostro Paese. Vuoi per Tim, in cui ha perso un sacco di soldi. E che, a dire dei francesi, ha svenduto la rete a Kkr (Arnaud De Puyfontaine la valutava 31 miliardi). Ma anche per la vicenda in Mediaset, con Vincet Bollorè che cercò di lanciare un’opa su Cologno Monzese venendo respinto dalle autorità italiane. Senza dimenticare l’avventura in Mediobanca, nel cui cda il finanziere bretone sedeva, prima di venire accompagnato all’uscita di Piazzetta Cuccia.
Ora dovrebbe arrivare, prima o poi, una sentenza per il ricorso in tribunale fatto contro la vendita della rete non tanto per bloccarla – ormai impossibile – ma per stabilire un eventuale risarcimento ai francesi. Ma Bollorè nel frattempo ha deciso di dedicarsi ad altro, e ha lasciato il timone del dossier telecomunicazioni al figlio, Yannick. Che ha un approccio diverso e ha tagliato i ponti, in Italia, perfino con gli storici consulenti di comunicazione.
Ma torniamo ai fondi: c’è qualche cosa che non torna. Ipotizzando anche che si possa procedere con lo spezzatino (che decreterebbe la fine o quasi di Tim, perché la cessione del Brasile sarebbe un vero problema), scenario comunque complesso da ipotizzare essendoci Cassa Depositi e Prestiti nel capitale azionario dell’ex-Sip, i fondi come Cvc difficilmente entrano nei deal con quote di minoranza.
Perché l’obiettivo di questi soggetti è massimizzare l’investimento e, per farlo, vogliono avere mano libera. Complessa anche l’ipotesi opa, perché – come detto – si dovrebbe andare a trattare con Cdp per rilevare una quota pagata oltre un miliardo. Dunque quello che in molti iniziano a bisbigliare è che si tratti di un grande gioco finanziario.
Vivendi, che non vede l’ora di lasciare Tim, avrebbe avuto qualche interlocuzione con i fondi indicati, ma avrebbe avuto anche tutto l’interesse a far trapelare questa informazione in modo da far aumentare il valore del titolo in borsa e, al contempo, sperando di scatenare un’asta. D’altronde, da tempo i francesi cercano di liberarsi della loro partecipazione: per un lungo periodo avevano provato a imbastire l’ipotesi take private che avrebbe fatto di Tim una vera e propria “public company”. Ma il progetto è naufragato prima ancora di essere messo a terra. E così ancora una volta si assiste alla ridda delle speculazioni e dei rumor, con il titolo che cresce. Ma fino a quando?