Economia
Tim, Ita, ex-Ilva, Mps: le quattro partite del governo Meloni
Il via libera all'operazione NetCo nell'ex-Telecom non significa che tutti i problemi, con un colpo di bacchetta magica, sono risolti
Tim, Ita, ex-Ilva, Mps: il governo Meloni alla prova dell'economia
Pietro Labriola, presentando il piano industriale nel 2022, aveva annunciato di avere in mente un piano B per rilanciare Tim: la vendita della rete. Oggi, a distanza di 18 mesi, arriva il via libera del governo all'operazione di cessione dell'infrastruttura a Kkr. L'esecutivo annuncia di esercitare il Golden power e questo dovrebbe bastare, ma il condizionale è sempre d'obbligo, per mettere a tacere i timori di una vendita all'estero di un asset sensibile. Tanto più che i cavi di Sparkle dovrebbero finire direttamente al governo che pure si è visto rispedire la prima offerta.
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Dunque, la partita è sistemata? Mica tanto. Le opposizioni sono sul piede di guerra, i sindacati chiedono di essere convocati con urgenza perché paventano tagli al personale. Cosa perfino probabile, in realtà. Perché è vero che l'operazione garantisce un abbattimento del debito di Tim, ma la ServiceCo che nascerà, cioè un'azienda di servizi di telefonia, dovrà capire quale perimetro avrà la sua nuova attività e, di conseguenza, valutare eventuali riduzioni delle risorse.
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È una rivincita di Labriola, soprattutto, che si trovò sul tavolo un'offerta da 11 miliardi (0,505 euro per azione) sempre da parte di Kkr e la rispedì al mittente venendo sbeffeggiato da tutti e oggi riesce a piazzare per 20+2 la rete. Ma c'è l'incognita Vivendi. I francesi ufficialmente non si sono mai opposti alla vendita della rete, ma hanno annunciato ricorso. E, conoscendo la giustizia italiana, potrebbe esserci il rischio che la cosa vada per le lunghe. Qui il governo Meloni dovrebbe prendere appunti da quanto fanno i francesi (si veda, ad esempio il caso dei cantieri Saint-Lazare con Fincantieri): una cosa di interesse nazionale si fa, o meno, senza troppi fronzoli.
L'esecutivo, tra l'altro, si trova ancora nel bel mezzo di una serie di partite economiche che devono essere risolte. Se Tim sembra potersi avviare a una conclusione - anche se qualcuno vicino al dossier si è lasciato scappare un "non è finita finché non è finita" - rimangono (almeno) altre tre aziende da osservare con attenzione. La prima è Ita. L'ex-Alitalia è finita al centro di un groviglio gordiano per cui ogni volta si butta la palla un po' più in là. Lufthansa ne parla come se fosse già sua, ma intanto continua a correre da sola. L'Europa - forse come ripicca per il Mes - continua a rimandare la questione sollevando improbabili tematiche di concorrenza, Antitrust e via dicendo. Ora, pare, che tutto si risolverà nel 2025. Ma è assai poco incoraggiante pensare che all'inizio del 2024 si parli già di una distanza di (almeno) 12 mesi.
Tra l'altro, la Commissione Europea non commenta, ma neppure smentisce, le indiscrezioni riportate stamani dal Sole 24 Ore, secondo le quali l'esame della proposta integrazione tra l'italiana Ita e la tedesca Lufthansa potrebbe passare alla fase due, cosa che allungherebbe i tempi in modo considerevole. "Non c'è davvero nulla che possiamo dire, per il momento", risponde una portavoce dell'esecutivo Ue, ricordando che la scadenza per la fase uno dell'esame da parte della Dg Concorrenza è il prossimo 29 gennaio.
Secondo il quotidiano economico-finanziario, l'esecutivo Ue non avrebbe condotto il market test sui rimedi proposti da Lufthansa per avere il via libera da parte della Commissione, cosa che indica che la Dg Comp li riterrebbe insufficienti ad eliminare le preoccupazioni per la concorrenza che l'integrazione comporta. La portavoce, interrogata in merito, non commenta.
E' noto fin dall'inizio che la Commissione nutre particolari preoccupazioni per la posizione dominante di cui Lufthansa, integrando Ita, godrebbe in Italia, in particolare nei trafficati scali di Milano Linate e di Roma Fiumicino, anche per i collegamenti con l'Europa. Ad esempio, su Bruxelles Zaventem, l'aeroporto più vicino alla capitale belga, Lufthansa godrebbe di un semi-monopolio sulle tratte con Milano, poiché controlla già Brussels Airlines (Ryanair ha chiuso i collegamenti tra Zaventem e Milano Malpensa l'anno scorso, mantenendo i collegamenti da Orio al Serio a Charleroi, entrambi più lontani dalle rispettive città servite), molto forte sulla rotta Milano-Bruxelles.
Su Mps non c'è molto da dire. Entro la fine dell'anno, ma più probabilmente entro l'estate, il governo dovrà cedere il suo 39% dopo aver venduto il 25% tramite la procedura di Accelerated Book Building. Il Cds (credit default swap, l'assicurazione in caso di fallimento) è in netto calde è oggi intorno a 225 punti base, 180 in meno di quanto era dodici mesi fa. Segno evidente che la banca è stata rimessa in sicurezza. Ma serve capire che cosa fare del proprio futuro. BancoBpm continua a dire "no grazie", ma la moral suasion del governo procede. Bper sta cercando di fondersi con Popolare di Sondrio e solo dopo aver completato questa operazione potrà eventualmente valutarne altre. Unicredit nicchia, anche se Andrea Orcel, dopo aver ricevuto la scontata riconferma come ceo ad aprile, potrebbe decidere di completare il suo viaggio in piazza Gae Aulenti con un'acquisizione di peso. Prima, dicono i bene informati, di prendere il posto di Sergio Ermotti alla guida di Ubs.
Infine c'è la questione ex-Ilva. E qui il discorso si complica non poco. L'acciaieria è allo stremo, i lavoratori anche. Eppure non si riesce a trovare una quadra. Non è colpa del governo Meloni, ma l'esecutivo deve intervenire e anche in fretta. Vuole commissariare? Che lo faccia in tempi rapidissimi, magari affidandosi a un esperto del settore e non più a manager con troppi chilometri sulle spalle. Vuole provare a congedare ArcelorMittal? Lo faccia, ma senza svenarsi e ricordando a questi signori le tante promesse disattese. Quando è salita a Palazzo Chigi la Meloni sognava l'en-plein. Quindici mesi dopo non ha ancora completato nessuna delle quattro maxi-operazioni. Ma la tenuta del suo governo non passa soltanto dagli sberleffi all'Europa sul Mes. Serve un intervento di politica industriale efficace e robusto. Ci riuscirà?