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Economia
Tim, quattro liste per il board: si rischia altra confusione

Tim, quattro liste per il rinnovo dei vertici: pluralismo o confusione?

Diceva Mao Zedong “grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente” per testimoniare come – allora – la società frastagliata e disunita in Cina fosse il terreno fertile perfetto per la sua rivoluzione. Oggi questa frase si può ritagliare perfettamente su Tim e su quello che sta succedendo alla vigilia dell’assemblea per il rinnovo dei vertici.

Con una domanda: sicuri che sia un bene per l’ex-monopolista avere quattro liste diverse che si iscrivono? Siamo certi che tutti stiano remando nella stessa direzione, cercando di riportare in auge una società che – affossata da una privatizzazione demenziale ed esiziale – si ritrova oggi costretta a vendere la rete per riuscire a guardare al futuro con un pizzico di ottimismo?

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Sono state depositate le liste di candidati che vanno ad aggiungersi a quella presentata lo scorso 6 marzo dal Consiglio uscente. Oltre a quella del board – che vede Alberta Figari candidata indicata come Presidente; Pietro Labriola; Giovanni Gorno Tempini; Paola Camagni; Federico Ferro Luzzi; Domitilla Benigni; Jeffrey Hedberg; Paola Tagliavini; Maurizio Carli; Romina Guglielmetti; Leone Pattofatto; Antonella Lillo; Andrea Mascetti; Enrico Pazzali; Luca Rossi – c’è quella del misterioso fondo Merlyn, società di diritto lussemburghese che nelle scorse settimane aveva presentato un piano alternativo alla vendita della rete.

Merlyn, che detiene lo 0,53% ha presentato una lista in cui corrono Umberto Paolucci (candidato Presidente), Stefano Siragusa (indicato come Amministratore delegato), Ersilia Vaudo, Ida Claudia Panetta, Ottavia Orlandoni, Boris Di Nemsic, Niccolò Ragnini Kothny, Robert Hackl, Boulos H.B. Doany, Barbara Oldani. Con l’eccezione di Stefano Siragusa, tutti gli altri candidati si dichiarano indipendenti.

L’altra lista in corsa è stata presentata da Asati – Associazione azionisti Telecom Italia per conto di azionisti alla stessa associati. Non senza un momento un po’ divertente, visto che l’elenco dei nomi iniziali non rispettava le quote rosa ed è quindi stato “sforbibicato”. Anche Asati detiene lo 0,53% del capitale composto da azioni ordinarie.Ecco i nomi dei candidati: Franco Lombardi, Alberto Brandolese, Maurizio Matteo Decina, Francesca Dalla Vecchia. I candidati si dichiarano tutti indipendenti.

C’è poi la lista presentata da Bluebell Capital Partners Limited (0,5003% del capitale composto da azioni ordinarie), società con sede a Londra, in qualità di gestore del fondo Bluebell Active Equity Master Fund Icav. I candidati sono: Paola Giannotti de Ponti (candidata Presidente); Paolo Amato, Laurence Lafont, Monica Biaggiotti, Paolo Venturoni e Eugenio D’Amico. Anche in questa lista tutti i candidati dichiarano di essere indipendenti.

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Ora, al di lì dei nomi, tutti sicuramente di livello, c’è il rischio instabilità. Un’assemblea che si trasformi in un Vietnam, che metta a repentaglio la continuità di un piano industriale che – piaccia o meno – è ormai l’ultima strada percorribile sarebbe un disastro. Serve un’alta partecipazione per dimostrare che l’azienda, seppur in difficoltà – complice anche qualche errorino di comunicazione nei benefici che dovrebbero derivare dalla vendita della rete – non scivoli ulteriormente dopo i tracolli in Borsa di qualche settimana fa. Tant’è che perfino Vivendi, che pure avrebbe titolarità per inarcare più di un sopracciglio, dal momento che detiene il 24% di Tim e si è sempre detta contraria alla vendita della rete, non ha strepitato e non ha presentato una sua lista ma si è limitata a esprimersi per il collegio sindacale.

Tra l’altro, il governo ha ancora una volta dimostrato la sua allergia alle grandi partite finanziarie: ha annunciato di voler convocare i francesi per il 2 aprile (il giorno dopo Pasquetta, forse che si attenda una resurrezione di qualcuno?) per capire quali intenzioni abbiano in vista dell’assemblea del 23 aprile. Forse però questi incontri, che si sono via via diradati dall’inverno del 2022 fino ad annullarsi totalmente per buona parte del 2023, andavano fatti prima. Perché ora il rischio famoso che i buoi siano già scappati è assai elevato.

D’altronde, si è scelto di trattare Vivendi come invasore e non come holding che – seppur con le modalità aggressive ben note anche nei paraggi di Cologno Monzese – aveva comunque messo sul piatto quasi quattro miliardi per una quota inferiore al 25% di Tim. Ritrovandosi fuori dal consiglio di amministrazione e senza la possibilità di dire la sua sul tema della rete, dopo averla valutata oltre 30 miliardi. E il governo, che ora si accorge dei francesi, rischia soltanto di dare vita all’ennesimo incontro cordiale che si risolve in nulla. Il rischio dell’ennesimo impasse c’è. Occhio, perché a giocare con il fuoco si finisce per bruciarsi.






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