Economia
UniCredit, LCdM lascia la vicepresidenza. Solo Aabar sopra il 5% del capitale
Occhi del mercato sul nuovo azionariato
di Andrea Deugeni
@andreadeugeni
Montezemolo segue Palenzona. Come lo storico vicepresidente di UniCredit, espressione della fondazione Cassa di Risparmio di Torino che però rimarrà in carica fino al 2018, anche Luca Cordero di Montezemolo, vice di Giuseppe Vita nel Cda in rappresentanza dei soci arabi, lascia la carica della più internazionale delle banche italiane in coerenza con quanto comunicato dal gruppo al mercato a dicembre 2016 sulle nuove strategie dell'era Mustier.
Lo ha fatto sapere lo stesso Montezemolo in una nota emessa prima dell'assemblea dei soci di UniCredit chiamata oggi, a Roma, ad approvare il bilancio dell'anno fiscale, che si è appena chiuso con un rosso di 11,4 miliardi a causa delle "pulizie contabili" messe in atto da Piazza Gae Aulenti contestuali al mega aumento di capitale, e le politiche retributive per il management, su cui ci si attende qualche frizione con i grandi fondi internazionali.
Montezemolo, viene spiegato dalla banca, ha comunicato al presidente del Cda di UniCredit di aver preso questa decisione "in coerenza con l'evoluzione della governance della banca raccomandata dal comitato corporate governance, nomination and sustainability, da lui stesso presieduto, anticipando così una delle novità da attuare con il rinnovo del Cda, e cioè la riduzione del numero di vicepresidenti ad uno". Cura dimagrande che dal 2018 interesserà tutto il board portando il numero complessivo dei membri da 17 a 15.
Gli occhi del mercato, però, sono tutti sulla composizione del nuove azionariato su cui è stato alzato oggi il velo in apertura dei lavori (con la lettura delle partecipazioni sopra il 2%) dopo la ricapitalizzazione monstre richiesta dalla Vigilanza e messa a segno con successo a febbraio per l'unica Sifi (banca di rilevanza sistemica, ndr) italiana.
Ridotto lo storico nocciolo duro italico composto da Fondazioni e dai soci privati, blocco che in passato ha sempre governato abbastanza saldamente i destini della banca, ma ora nel nuovo assetto sempre più in versione "public company", come ha sottolineato ieri lo stesso Vita, pesa per poco più del 5% (sotto la soglia del 2% Crt e Cariverona), dai contorni più sfumati invece è la fotografia dei grandi azionisti internazionali che fra asset manager, fondi internazionali e più aggressivi hedge fund, ora ha in mano il pallino con il 65% del capitale.
Alla riunione è presente il 49,9% del capitale. Le due punte di diamante del libro soci restano gli arabi di Aabar e gli americani di Capital Research, uno dei principali gestori di fondi al mondo con asset in gestione per oltre 1.000 miliardi di euro. Il fondo sovrano di Abu Dhabi, tramite Aabar Luxembourg, resta il principale socio al 5,038% (unico, ha sottolineato Vita, sopra la soglia rilevante). I fondi azionisti con una partecipazione fra il 3 e il 5% sono comunque esentati dalla normativa a comunicare la loro quota.
"Siamo la più grande public company in Italia", ha sottolineato l'amministratore delegato Jean Pierre Mustier aprendo, davanti ai soci in assemblea, l'illustrazione del bilancio 2016. Il banchiere francese si è concentrato sulla qualità dell'attivo, voce in continuo miglioramento a conferma della nostra solidità". "Il gruppo ha conseguito, ha spiegato Mustier, una "riduzione significativa dei crediti deteriorati grazie ad azioni decise per ridurre il rischio, raggiungendo il livello più basso da metà 2010", ha aggiunto il Ceo che ha ricordato che le sofferenze sono scese del 36% e le inadempienze probabili sono calate del 9%.
Dal canto suo, Vita ha puntualizzato invece che, "nonostante le azioni di contenimento già portate a termine negli ultimi anni, i crediti inesigibili sono un fardello che da tempo appesantisce i bilanci della banca" ma "di concerto con le autorità di Vigilanza abbiamo intrapreso azioni radicali sui crediti deteriorati, con costi più alti nell'immediato, che consentiranno alla banca di dedicarsi al 100% al proprio sviluppo".
Il presidente UniCredit ha fatto poi presente che "un esito così positivo" dell'aumento di capitale non era affatto scontato. "Solo pochi mesi fa, infatti, il mercato ha negato ad altre banche capitali anche per importi molto inferiori al nostro. Ciò vuol dire che fondi e investitori istituzionali hanno riconosciuto la validità del piano e la capacità del nostro management di realizzarlo", ha concluso.