Spettacoli

Ascolti Tv Auditel: Perchè Il Nome della Rosa sta facendo flop?

Marco Zonetti

Dall'esordio, la fiction di Rai1 ha perso la metà degli spettatori e undici punti di share. Quali sono i motivi del calo d'interesse?

Gli ascolti Tv e i dati Auditel non perdonano Il Nome della Rosa, che ieri, lunedì 18 marzo 2019, sono crollati a 3.894.000 spettatori pari al 16.7% di share. Crollati, perché, nella prima puntata, la fiction tratta dal romanzo di Umberto Eco, diretta da Giacomo Battiato e interpretata da John Turturro e Rupert Everett aveva invece portato a casa 6 milioni 501mila spettatori con il 27,38% di share.

Ciò significa che, nel giro di tre puntate soltanto, la serie ha perduto quasi la metà degli spettatori e ben 11 punti di share. All'esordio, malgrado gli stravolgimenti rispetto all'opera originale di Eco, avevamo concesso il beneficio del dubbio alla fiction (clicca qui per leggere) in attesa degli ascolti delle puntate successive. Ma ora è arrivato il momento per stilare un bilancio a conti fatti.

1) La fiction delude e disorienta chi conosce e ha letto il romanzo. Con l'accessoria introduzione di tutta la tediosa storyline di Fra' Dolcino (Alessio Boni) per allungare il brodo, e di figure femminili soltanto accennate da Eco, si finisce per distogliere l'attenzione dallo scenario fosco, claustrofobico e lugubre dell'Abbazia, dal quale il libro non si discosta mai, e che rappresenta la cifra dell'opera dello scrittore. Non parliamo poi delle ruffiane strizzate d'occhio a Game of Thrones e a Once Upon a Time (o - ancor peggio - alle ultimissime saghe di Fantaghirò quando ormai raschiava il fondo del barile), che finiscono per irritare i fan più ortodossi del capolavoro echiano, allontanandoli fatalmente. 

2) Quattro puntate sono troppe e troppo pesanti. Per coloro che non hanno letto il romanzo e per un pubblico più semplice, trovarsi catapultati per quattro prime serate in uno scenario medievale con dialoghi a sfondo filosofico e teologico è decisamente esagerato. Di puntate ne sarebbero bastate e avanzate due, con il beneficio dei costi ridotti e, per giunta, di una maggiore aderenza all'originale senza dover ricorrere ad artifici narrativi per dilatare la sinossi.

3) John Turturro nella versione italiana non funziona. Ci si domanda come sia possibile che, per doppiare l'autorevole e dotto Guglielmo da Baskerville, si sia ricorsi a una voce così "giovanile" che stona con il volto di Turturro e soprattutto stride con l'autorità e il prestigio del vegliardo francescano. Dispiace effettuare il confronto con il film di Jean Jacques Annaud, e tuttavia non soltanto quest'ultimo scelse nei panni di Guglielmo Sean Connery, ma l'attore scozzese era doppiato dalla voce meravigliosa dell'indimenticato Pino Locchi, sulla quale non occorre aggiungere altro.

4) Attori fuori parte e non adeguati al ruolo. Sempre nel film di Annaud, erano di grande impatto le interazioni tra Connery e F. Murray Abraham nei panni di Bernardo Gui, tanto da non far minimamente rimpiangere i personaggi descritti da Eco. Qui lasciano invece a desiderare quelle tra Turturro e Rupert Everett, scarsamente a suo agio nel ruolo dell'Inquisitore, e in generale fra i vari caratteri. Anche lo stesso Adso (Damian Hardung), che pare uscito da un teen drama alla Dawson's Creek o - peggio - da una pubblicità di Calvin Klein, è scarsamente credibile quale novizio francescano dibattuto tra la Fede e l'amore per le grazie femminili. Fra lui e Turturro, per giunta, viene iconograficamente meno quel paterno rapporto fra mentore e discepolo che invece è uno dei punti di forza del romanzo (nonché del film con Connery e il giovanissimo Christian Slater). 

Tirando le somme, la versione televisiva de Il Nome della Rosa appare come un'opera senz'altro meritoria, ma alquanto pretenziosa e, ribadiamo, troppo poco adatta per il pubblico di Rai1, che senz'altro apprezza i prodotti di pregio culturale ma nel momento in cui essi vengono presentati in una veste non noiosa, non proterva, non prolissa. Tra lungaggini, arbitrarie licenze, attori poco convinti e ancor meno convincenti, l'omicidio più efferato che viene compiuto nella fiction è quello dell'interesse dello spettatore. E anziché le istanze del Papa o le rivendicazioni dell'Imperatore, o la verità sulla menzogna, a trionfare in ultima analisi è soltanto la noia.