Spettacoli
Ascolti Tv Auditel: Il Nome della Rosa diventa Game of Thrones, Eco "tradito"?
Con i suoi rimandi al Trono di Spade e a Once Upon a Time, Il Nome della Rosa televisivo non poteva essere più "pop". Ma se fosse un'idea vincente?
Il Nome della Rosa versione televisiva, che ieri al suo debutto ha ottenuto il 27.4% di share con 6.501.000 spettatori vincendo la serata, inizia su un campo di battaglia ed è già effetto straniamento. Si attende quasi di veder spuntare, fra i soldati pugnanti, Robb Stark o John Snow di Game of Thrones. Poco dopo, ci si ritrova negli opulenti e dorati appartamenti pontifici di Avignone con Papa Giovanni XXII (Tchéky Karyo) intento a tramare con l'Inquisitore Bernardo Gui (Rupert Everett) e sembra di assistere a un prequel de I Medici. Chi ha letto (davvero) il romanzo di Umberto Eco si sente spaesato, ricordando le amosfere lugubri e cupe di un'abbazia sperduta, l'unità di luogo, il côté gotico da Castello d'Otranto o da Misteri di Udolpho.
Comprensibile l'operazione della sceneggiatura e della regia della fiction, la cui prima puntata è andata in onda in prima visione assoluta ieri sera su Rai1; il pubblico di riferimento è quello televisivo tradizionale e occorre prenderlo per mano accompagnandolo come un bambino nella complessa vicenda punteggiata, fra un omicidio e l'altro, da dispute teologiche medievali e dissertazioni filosofiche. In Tv, non si può entrare in medias res come fece Eco nella sua opera, che fin dalle prime righe immergeva il lettore nell'impervio mondo della sconfinata cultura dell'autore, in una rapsodia di citazioni latine, disquisizioni storiografiche e ammiccamenti ad altre opere, tra il serio e il faceto, tra il basso e l'alto, in un continuo e dotto rimando ipertestuale.
Timorosi che quattro puntate ambientate in un'abbazia medievale nella quale, a parte un assassinio ogni tanto, si discute di massimi sistemi e si prega, potessero annoiare lo spettatore, ecco che si è stati costretti ad "allungare il brodo" inventandosi personaggi femminili che strizzano l'occhio alla serie Disney Once Upon a Time, e mandare a quel paese - come già detto - l'unità di luogo lasciando talvolta da parte le fredde e fosche stanze dell'edificio religioso (che nel romanzo ne rappresenta uno dei protagonisti principali) per spaziare in giro per il mondo, e con salti temporali e flashback come in Lost (cui del resto rimanda la presenza dell'attore Michael Emerson, che nel serial americano interpretava il subdolo Ben).
La fiction di Rai1, sotto molti punti di vista, "tradisce" Eco, assai di più di quanto non fece il film di Jean-Jacques Annaud che ridusse il numero degli omicidi (mandando in malora il riferimento alle Sette Trombe dell'Apocalisse) e lasciò ampiamente sullo sfondo gli aspetti teologico-filosofici. Ora però, perplessità a parte, occorre vedere i dati d'ascolto della seconda puntata in onda la prossima settimana per comprendere se tale "tradimento" non sia stata un'idea vincente per attirare e fidelizzare un pubblico eterogeneo, non necessariamente conoscitore dell'opera originale, non necessariamente istruitissimo.
E magari chissà Umberto Eco, ironico e autoironico com'era, avrebbe potuto apprezzare questa versione "pop" del suo capolavoro (del resto il suo era volutamente un trattato di filosofia medievale ammantato di colori gialli alla Sherlock Holmes) e, chissà, se la fiction dovesse avere successo, l'operazione di Rai1 potrebbe essere utile ad avvicinare e riavvicinare il grande pubblico all'opera originale e alla lettura in generale. Se così fosse, la Rai avrebbe comunque vinto la scommessa.