Spettacoli
Netflix: “Una semplice domanda” di Alessandro Cattelan... ma la risposta è no
Guest star come Sorrentino, Baggio, Vialli, Elio, Geppi Cucciari, Mandelli e Mo Gawdat vengono messe in ombra dall'esuberanza del conduttore
Un cast stellare, messo in ombra dal protagonista
Nelle sei puntate della docu-fiction “Una semplice domanda”, disponibile su Netflix, Alessandro Cattelan si chiede insistentemente cosa sia la felicità. Più prosaicamente, per chi fa televisione è certamente una valida garanzia di felicità la possibilità di contare su una superproduzione degna di miglior causa e soprattutto su guest star come Paolo Sorrentino, Elio, Roberto Baggio che rompe il suo riserbo e ti apre le porta della sua villa di Vicenza, Gianluca Vialli che ti parla del rapporto con la morte nel bel mezzo della sua coraggiosa battaglia contro il cancro e Mo Gawdat, che parla della sua scelta di lasciare una posizione apicale a Google dopo aver perso un figlio. Insomma, con una sfilata di personaggi così interessanti, sarebbe bastato mettersi di lato e ascoltarli, per poi magari intervallare i discorsi profondi con qualche sketch in compagnia di Geppi Cucciari e Francesco Mandelli, altre notevoli frecce all'arco della produzione.
Invece no: in un curioso intreccio tra il plot del programma e la realtà, Cattelan continua a volere sempre di più, fino a coprire il Duomo di Milano con uno striscione nel tentativo di coinvolgere nel programma persino il mitico Banksy. Il quale, comprensibilmente, si guarda bene dal rispondere. Dal pub sotto casa - dove chiede consiglio a uno psicoterapeuta - arriva fino a Tenerife, passa per la via Francigena e si spinge poi anche a Formentera, dove va a incontrare un altro soggetto decisamente interessante come Roberto Giovalli, che a soli 40 anni decise di lasciare il suo ruolo di top-manager delle tv di Berlusconi e da venti dichiara orgogliosamente di “non fare un bel niente”. Cattelan di anni ne ha 42 e ripete più volte che sta lavorando per potersi permettere di smettere, al che' giustamente Giovalli gli risponde che gli sembra molto lontano da una scelta del genere, menzionando l'assuefazione alla fama.
Un'assuefazione che spinge Cattelan a recitare scene della sua infanzia, non si capisce bene perché, con il premio Oscar Sorrentino che si presta a fargli la regia... e in fondo la cosa strana è proprio che lui ci stia, anche se a tratti pare che la sua paciosità sia sul punto di esplodere. Un'assuefazione che lo porta a scegliere un espediente narrativo clamorosamente autoreferenziale: benché la domanda sulla felicità accompagni l'umanità dalla notte dei tempi, Cattelan se la fa porre dalla primogenita in uno scenario da Mulino Bianco. Un'assuefazione che poi lo porta fino a Budapest, nella fasulla ricerca di anonimato, per infliggere ai giudici dell'X Factor ungherese una stucchevole canzone, oltretutto in italiano.
Peccato, davvero, perché anche un'idea non certo originale sarebbe stata sufficiente per creare valore autoriale intorno ai racconti di persone davvero molto interessanti: i momenti di commozione di Baggio e Vialli, ad esempio, sono davvero straordinari. Putroppo Cattelan soffre nell'indossare i panni della spalla, che pure gli calzerebbero a pennello, come si vede nitidamente durante la preparazione per X Factor: lì il vero protagonista è Elio con i suoi surreali consigli, non lui che si presta a indossare la canotta da emigrante. Peccato solo che duri molto poco, così come scarso spazio è stato dato al confronto tra quattro religioni (divertente l'idea di parodiare il “4 ristoranti” di Borghese) e al campeggio prematrimoniale, a favore di momenti invece non memorabili come il pernotto nel supermercato con Mandelli. Un indizio si sarebbe potuto cogliere dal successo di EPCC, nel quale il conduttore piemontese non sfigurava affatto nel confronto indiretto con i mostri sacri del Late Night Show anche perché la formula stessa del programma assegna all'ospite il ruolo principale e all'intervistatore quello di spalla. Ben altra musica è stata quella di "Da grande", sulla Rai...
Questa volta, al contrario anche di “Catteland” su Radio Deejay, ha resistito alla tentazione di inflilare il suo nome nel titolo del programma del quale peraltro è ideatore e protagonista, ma quando ironizza con Sorrentino sul suo film biografico postumo gli scappa un freudiano “E poi c'era Cattelan”. Mettiamola così: i margini di miglioramento sono enormi e se ci sarà una seconda stagione, come speriamo, bisognerà sfruttare meglio gli ospiti, invece che relegarli al ruolo di sparring partner. E Cattelan da un piccolo passo indietro potrebbe ricavare uno slancio definitivo verso la sua maturazione professionale, non certo una diminutio. Per il momento... mi dispiace, ma per me è no.