Esteri
Africa in mano alla Turchia. Dopo la Somalia Erdogan si prende la Libia
La strategia della Turchia in Libia ricalca per molti aspetti uno schema che Ankara ha già seguito in diversi Paesi africani
La strategia della Turchia in Libia ricalca per molti aspetti uno schema che Ankara ha già seguito in diversi Paesi africani, e può essere intesa alla luce di quanto avvenuto in Somalia negli ultimi 10 anni. Due tessere di un puzzle con cui il presidente turco ribadisce la propria influenza nel continente africano, opponendosi al nemico egiziano, il generale Abdel Fattah Al Sisi, che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan considera “un golpista”, al quale non perdona di "avere assassinato" l’ex presidente Mohamed Morsi, a lui vicino per la comune adesione ai Fratelli musulmani. A conferma dell’antagonismo tra Erdogan e Al Sisi il fermo rifiuto di Ankara a riammettere alla trattative per una transizione politica in Libia il generale Khalifa Haftar, una porta chiusa in faccia a un appello giunto proprio dal Cairo.
Dopo aver siglato un accordo sulla giurisdizione sulle acque del Mediterraneo orientale lo scorso novembre, Ankara ha garantito sostegno militare al Governo di Unità Nazionale di Fayez al Serraj, consentendo a quest’ultimo di ottenere fondamentali vittorie nella difesa della capitale Tripoli e costringendo Haftar a chiedere un cessate il fuoco che lo stesso generale aveva ripetutamente rifiutato nel recente passato. Le sconfitte patite da Haftar hanno portato Ankara ad attivare una sorta di 'fase 2' nei rapporti con la Libia.Ormai conquistato un tavolo nelle trattative che definiranno la giurisdizione nel Mediterraneo orientale, una delegazione turca è partita alla volta di Tripoli per una serie di incontri che, oltre alla cooperazione militare e alla vendita di armi ormai consolidate, puntano allo sfruttamento di risorse petrolifere e agli imponenti appalti per la ricostruzione del Paese, tra cui quello relativo un nuovo aeroporto. Per quanto riguarda la Libia, con l’accordo sulla giurisdizione marittima Ankara ha messo subito in chiaro l’interesse per gli idrocarburi al largo di Cipro, per poi parlare di petrolio solo negli ultimi giorni, una volta sconfitto Haftar. Con uno schema paragonabile, passato per la ricostruzione del Paese e la lotta ad Al Shabaab e il consolidamento del potere centrale, il lavoro svolto dai turchi in Somalia ha permesso ad Ankara di ottenere un “invito” della Somalia a condurre delle ricerche di idrocarburi sui propri fondali. E' dunque possibile ipotizzare cosa accadrà tra Ankara e Tripoli, ripercorrendo le origini del rapporto Turchia e Somalia, con un passo indietro al 2011, quando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan visitò la capitale somala devastata da una terribile carestia, l'unico leader politico non africano a farsi vedere a Mogadiscio in oltre due decenni. Erdogan rimase impressionato dalle condizioni del Paese e ordinò di fornire ingenti aiuti umanitari; e fece da apripista all'apertura della più grande ambasciata turca in Africa (2016), alla conclusione di accordi commerciali (250 milioni di dollari più 100 di investimenti turchi), logistici (compagnie turche gestiscono porto e aeroporto), scolastico e sanitario (a Mogadiscio è attivo il polo ospedaliero "Recep Tayyip Erdogan").
Capitolo a parte riguarda la collaborazione militare e a livello di intelligence, con una base militare a Mogadiscio in cui gli uomini di Ankara addestrano le forze di sicurezza locali, che utilizzano equipaggiamenti, armi, droni e mezzi turchi. Strategia già attivata in Libia, con i turchi stabilmente presenti nella base di Al Watiyya, sottratta ad Haftar il mese scorso. Con l'apertura della base di Mogadiscio Erdogan ha scongiurato il rischio che la capitale finisca in mano ad Al Shabab e si è garantito una struttura capace di addestrare fino a mille militari alla volta: puntare infatti a portare a 10 mila il totale dei soldati somali preparati da Ankara (gli Usa ne hanno addestrati in tutto circa 2 mila). Una mossa che ha consolidato il potere del governo centrale, fondamentale nelle vastissime regioni somale, ma anche libiche. Prossimo obiettivo del presidente turco è fornire alla Somalia una flotta di jet da guerra, destinati a divenire un fattore determinante nel controllo delle vastissime aree rurali del Paese africano, per molti aspetti paragonabile alla complessità del puzzle libico: proprio per controllarlo è nei piani di Ankara stabilire una propria base, che potrebbe essere costruita sulla costa. A far riflettere su quanto potrebbe pesare il pragmatismo di Erdogan in Libia è però il numero di progetti a livello commerciale, militare ed edilizio realizzati dalla Turchia in Somalia, con risultati che contrastano con le strategie intraprese e abbandonate dai Paesi occidentali nel recente passato.
E’ fuori discussione che in Libia l’influenza turca sia già attiva sul piano politico, esattamente come accaduto in Somalia, dove è già stato nominato un inviato speciale nel 2018, il primo nella storia della Turchia, con l'obiettivo di influenzare direttamente l'agenda politica locale e cercare di ricomporre la rottura tra il governo federale di Mogadiscio e la regione del Somaliland. Altra importante forma di 'soft power' turco in Somalia, che potrebbe ripetersi in Libia, le numerose borse di studio garantite agli studenti locali, che si recano per studiare in Turchia per poi diventare la classe dirigente del futuro. Ed è certo che a quel punto avranno un occhio di riguardo nei confronti di Ankara.